Capitolo I – il Sussurro della Terra
Non ho un cuore che batte, né occhi per vedere. Ma ho vissuto ere intere, con il mondo che mi scorre attraverso come un sussurro infinito. Sono il Vento, e tutto ciò che esiste mi appartiene, anche se non mi possiede. Non posso fermarmi, non posso rimanere, ma ovunque vado raccolgo frammenti di storie, di vite intrecciate in un tessuto che si scompone e si ricostruisce, senza mai essere lo stesso.
Questa è la mia storia, che non è mia. È la storia del mare che canta la sua melodia eterna, sempre in movimento ma sempre immobile, lui che accoglie il mio respiro e lo trasforma in onde impetuose o in delicate carezze sulla sabbia, del fiume che lambisce la terra senza mai dimenticarla, del vecchio querceto che un tempo chiamava il cielo padre e ora guarda solo radici. È la storia delle creature che vivono e muoiono, inconsapevoli di come le loro esistenze siano legate da fili invisibili.
La prima voce che vi porto è quella della Terra sotto i piedi di tutti. Non parla spesso, ma sente tutto. E quindi gli chiedo:
“Tu, che sei stata qui sin dall’inizio, puoi raccontare la tua storia? Puoi condividere cosa ti affligge oggi, cosa è cambiato nel corso dei millenni?”
Alla domanda lei risponde mormorando…
“Sono più vecchia del sole, ma gli esseri che camminano su di me raramente ricordano quanto è fragile ciò che ho da offrire. Io do vita e accolgo la morte, e in cambio non chiedo nulla, tranne il silenzio. Ma il silenzio è ormai diventato un lusso, e ora anche io comincio a gridare.”
La Terra non ha bisogno di parole, perché ogni fibra del suo essere contiene la memoria di tutto ciò che è stato. Ogni sua crepa, ogni granello di sabbia, racconta una storia. Le sue origini risalgono a un tempo così remoto che nemmeno le stelle possono ricordare quando essa non esisteva ancora. Prima che la vita iniziasse a camminare sulla sua superficie, la Terra attendeva, immersa in un silenzio sacro, sentendo le forze primordiali del cosmo plasmare il suo corpo, modellare le sue valli e alzare le sue montagne…
“Hai sempre sostenuto la vita con pazienza, senza chiedere nulla in cambio. Ma cosa ti ha portato a sentire questa stanchezza? Cosa è cambiato nel rapporto tra te e le creature che camminano su di te?”
“Io ero qui quando il cielo e il mare si incontravano,” mi dice con una voce profonda come le caverne più oscure, “Ho conosciuto il fuoco e il ghiaccio, l’ombra e la luce. E quando il primo albero ha affondato le radici nel mio corpo, ho capito cosa significava essere madre.”
Con il passare dei millenni, la Terra ha accolto ogni forma di vita, grande e piccola, senza fare distinzioni. Gli alberi hanno steso le loro chiome verso il cielo, i fiumi hanno tracciato i loro percorsi sinuosi, e le montagne si sono erette come custodi silenziosi del suo respiro. Ogni creatura che ha calpestato il suo suolo ha lasciato un’impronta che la Terra ha portato con sé, con pazienza e saggezza.
Ma mentre i millenni scorrevano e le creature proliferavano, qualcosa è cambiato. Una creatura in particolare, nata da lei come tutte le altre, ha iniziato a comportarsi diversamente. Gli esseri umani, nel loro desiderio di dominare, hanno dimenticato il legame sacro che li univa alla Terra. Hanno scavato in profondità, ferito le sue viscere, abbattuto i suoi alberi e inquinato i suoi fiumi, senza mai fermarsi a considerare il danno che stavano infliggendo.
“Gli esseri che chiamano se stessi ‘umani’ hanno dimenticato il legame sacro che ci univa.” continua a dirmi, “Un tempo rispettavano ciò che ero, mi veneravano come madre. Ora, scavano in profondità, tagliano i miei alberi e contaminano le mie acque. Mi sfruttano senza pietà. Le mie risorse, una volta dono generoso, sono ora preda della loro avidità. Non c’è più equilibrio. Le loro macchine scavano e perforano il mio corpo, lasciandomi ferita e spogliata.”
Ed io: “Parlami delle ferite più profonde, quelle che non si vedono a occhio nudo ma che senti nel profondo.”
Lei sospira, un suono che rimbomba nelle grotte sotterranee e tra le montagne:
“Le miniere. Le viscere della mia pelle vengono scavate per l’oro, l’argento, il rame… e molto altro. Non mi oppongo a chi prende solo ciò di cui ha bisogno, ma l’umanità è insaziabile. Ogni giorno scavano più a fondo, ogni giorno riempiono l’aria e l’acqua di veleni. Il cianuro, il mercurio, tutti quegli agenti chimici usati per separare i metalli preziosi dal mio corpo, stanno uccidendo non solo me, ma anche le creature che dipendono da me.”
La sua voglia di sfogarsi è palpabile… decido di essere il suo confessore:
“Sento spesso il tuo dolore attraverso le tempeste e le raffiche di polvere che porto via dalle miniere. Ma c’è qualcosa di ancora più straziante. Ho sentito sussurrare dei bambini… nelle profondità delle tue ferite.”
“Ho visto bambini scendere nei miei abissi.” mi dice con un tono spezzato, “Ho sentito le loro mani scavare nella roccia, le loro voci soffocate dalla polvere, i loro cuori schiacciati dal peso della fatica. Non è giusto. La loro innocenza viene spezzata insieme alle pietre, mentre io non posso fare nulla per proteggerli. È questa la ferita più profonda. Li vedo, piccoli e fragili, entrare nei miei abissi, costretti a lavorare in condizioni disumane. Scavano con le loro schiene piegate sotto il peso della fatica. Scavano per trovare quei minerali che alimentano le macchine umane, quelle stesse che li costringono in questa vita di schiavitù. Non sono più liberi di correre su di me, di sentire l’erba sotto i piedi. Essi sono il mio futuro, ma vengono sacrificati per un presente che si consuma troppo velocemente. Come possono sperare di crescere forti e sani, quando la loro infanzia è ridotta a polvere e fatica?”
La Terra, un tempo in equilibrio perfetto, mi racconta delle miniere a cielo aperto, grandi ferite nella sua pelle, dove il paesaggio naturale è stato trasformato in crateri desolati, inquinati da metalli pesanti e cianuro, utilizzati per separare i minerali dai loro detriti. Una volta, l’estrazione dei metalli preziosi avveniva con rispetto, limitata solo a ciò che era necessario per la sopravvivenza delle comunità. Ora, intere montagne vengono sventrate, i suoli avvelenati da sostanze tossiche, e le foreste abbattute per fare spazio a giganteschi impianti estrattivi.
“Ho visto queste ferite,” gli dico, “gli esseri umani hanno trasformato intere montagne in crateri desolati, avvelenato il suolo e abbattuto le foreste. Questo dolore è insostenibile ma ti prego, continua… parlami del resto, delle altre ferite. Non è solo lo sfruttamento umano a preoccuparti, vero?”
“No, non solo. L’inquinamento provocato dall’estrazione mineraria sta avvelenando tutto ciò che una volta era puro. I miei minerali erano doni, frammenti di stelle antiche, parte del ciclo naturale del mondo. Ma ora sono diventati prede. Per arricchirsi scavano sempre più a fondo, e ogni volta che perforano il mio corpo, un altro pezzo di me si sgretola. Non solo il mio corpo è ferito,” continua lei, come un fiume in piena, “ma il mio respiro è avvelenato. Gli alberi non respirano più aria pura e l’acqua che scorre non è più vita, ma morte. Le acque, che un tempo scorrevano limpide, ora sono macchiate di tossine. Il mio respiro è soffocato da gas nocivi, polveri tossiche portate via dal vento… sì, proprio da te, mio vecchio amico.”
Ed io, con tono grave: “Sì, porto via tutto ciò che incontro, ma ora mi muoverò portando con me anche il sapore amaro della tua sofferenza. Ma tu, nonostante tutto, non sei stata ridotta al silenzio, o sbaglio?”
“Ho gridato, eppure il mio grido rimane inascoltato. Ogni terremoto, ogni alluvione, ogni siccità è un tentativo di farmi sentire. Non sono vendicativa, ma non posso restare in silenzio mentre le mie ferite si aprono sempre di più. La mia voce è soffocata dal rumore delle città e delle macchine, mentre io cerco di avvertire chi cammina su di me del pericolo che si avvicina.” Sospira… la sua voce è appesantita dal dolore accumulato, “Sono stanca. Il mio corpo è stato spezzato, sfruttato, e ora inizio a tremare. Non per rabbia, ma per la fatica di sostenere un peso così grande.”
Il danno non si limita al suolo, ma si estende nell’aria e nell’acqua. La Terra riflette e racconta su come, oltre allo sfruttamento minerario, il processo di estrazione e raffinazione provochi un inquinamento devastante. I gas nocivi, il particolato solido e i residui tossici si riversano nell’atmosfera e nei corsi d’acqua, rendendo irrespirabile l’aria e inutilizzabili le risorse idriche. Fiumi che un tempo portavano acqua cristallina ora scorrono con acque velenose, le piante muoiono, e la fauna scappa o soccombe. Ed io, fedele testimone, porto via l’odore acre delle sostanze chimiche usate nelle miniere, disseminando polveri tossiche che si diffondono lontano, raggiungendo villaggi, campi e città.
Non è solo il presente a essere compromesso. La Terra avverte che queste ferite profonde minacciano il futuro stesso del pianeta. Le risorse sono limitate, ma l’avidità umana sembra insaziabile. Ciò che viene prelevato dalla Terra non potrà essere rimpiazzato, e ogni ferita aperta nei suoi strati minerali porta con sé una conseguenza irreparabile.
Io, che porto con me le sue storie, osservo l’indifferenza dell’uomo che corre senza mai fermarsi, ignaro del fatto che il mondo intorno a lui stia cambiando… ma mi occuperò di lui più tardi.
“Non voglio vendetta,” mi dice la Terra, con una voce stanca. “voglio solo che ricordino. Ricordino il nostro legame, il nostro patto antico. Che non si vedano come sopra di me, ma come parte di me.”
Ed io, con un tocco delicato, accarezzo la sua superficie, raccogliendo le sue parole e portandole lontano, sperando che qualcuno, da qualche parte, sia disposto ad ascoltarle. Basterebbe solo un attimo di silenzio e, forse, il legame spezzato potrebbe essere ricucito.
E così continuo il mio viaggio, portando con me il sussurro della Madre Terra, una storia di pazienza e sofferenza, ma anche di speranza. Speranza che un giorno, le sue ferite possano guarire.
(….) il Lamento del Fiume