Nella cultura jacuta esistevano due tipologie di morte: la “buona”, la quale avveniva gradualmente alla fine della vecchiaia e quella “cattiva”, avvenuta per cause violente, suicidarie o premature.
Interfacciarsi con le modalità di vivere, morire e accompagnare i morenti nelle dimensioni delle altrui culture è un percorso riflessivo e degno di nota, soprattutto quando ci troviamo di fronte a modalità a noi inimmaginabili.
Secondo la credenza jakuti, nel passaggio da una stagione ad un’altra, i defunti si ripresenterebbero su questa terra, scaturendo nei mortali strategie di “camuffamento” e di interazione con essi.
Soprattutto perchè, nel caso dei morti prematuri (o nel caso suicidario o di decesso in forma violenta) vi era e vi è la credenza che essi possano tornare nella forma “impura”, cioè di morti viventi.
Facevano parte di questa categoria anche coloro che avevano avuto, in vita, contatti con entità malvagie e coloro che non avevano avuto una degna sepoltura – come nel caso dei dispersi – .
Morire di morte naturale significava andare in cielo o all’inferno, un estremo o un altro, mentre coloro che avevano esperito una morte violenta avrebbero vagato sulla tessa sino alla loro ora decisiva.
Questa tipologia di defunti, soprattutto i morti per mano altrui – ergo assassinati – però, c’è da dire che avessero in qualche modo un compito, quello di tormentare i viventi.
Si tratta di figure vendicative, dalle determinate peculiarità: possono portare malattie all’uomo che tormentano, possono essere identificate in taluni animali (come i rettili), a volte possono presentarsi con otto gambe!
Esistono zone in cui, ancora oggi, per evitare qualsiasi forma di ritorno dei defunti viene conficcato un paletto di legno proprio nel petto ed un chiodo riposto nella bocca.
In altri, vi è l’usanza di gettare della paglia sulla sepoltura, riporvi rami e sassi, ed altresì comune era vestirsi in un certo modo così che il morto non facesse ritorno.
Ma..come mai fare ritorno sulla terra? Ci sono defunti che rigettano il distacco dalla vita terrena, cercando dunque di ghermire l’anima di qualche amico o familiare.
E’ necessario quindi capire chi sia stato in qualche modo posseduto da questo spirito e attuare un rituale sciamanico per scacciare l’ospite inquietante – con l’utilizzo di rami di betulla – inviando poi, una volta scacciata, l’anima madre nel regno dei defunti.
La visione della morte è dunque così composta: esiste un mondo superiore, dove sono presenti spiriti benevoli; il mondo di mezzo, ovvero quello umano, ed il mondo inferiore, dove vivono spiriti ostili e gli spiriti degli antenati.
L’essere umano è formato da un’anima-corpo, da un’anima-aria e da un’anima-madre.
Per quanto riguarda le sepolture vere e proprie, va tenuto da conto il contesto geografico siberiano: vi è la presenza del permafrost, con temperature che vanno dai -50° nella stagione invernale ai +30-38° in quella estiva.
Esistono diversi metodi di sepoltura: cremazione – sicuramente il più antico metodo – ; le inumazioni – sepoltura a terra – e il metodo aereo “arangas”, che sicuramente è il più interessante.
Questo metodo infatti propone una sepoltura sulle betulle, ben cioè elevata dal suolo, questo sia per evitare l’attacco da parte della fauna sia per la difficoltà nello scavo del terreno nella stagione invernale.