Socrate ci insegna che il primo passo per spezzare le catene dell’ignoranza è riconoscere i propri limiti, accettare che non abbiamo tutte le risposte. Questo atteggiamento, noto come “ignoranza socratica“, non è un’accettazione passiva dell’ignoranza, ma un invito ad aprirsi alla conoscenza. Quando riconosciamo di non sapere tutto… è il momento in cui possiamo iniziare a cercare, a domandare, ad esplorare.
In un mondo in cui l’uomo si illude di possedere tutte le risposte, la lezione di Socrate risuona come un monito eterno: la vera saggezza inizia con la consapevolezza della propria ignoranza.
Per Socrate, la vera saggezza non consiste nel possedere tutte le risposte, ma nel continuare a fare domande. Questa continua ricerca, questa insoddisfazione per le risposte facili e superficiali, è ciò che ci porta a una comprensione più profonda di noi stessi e del mondo. Quando prendiamo atto della nostra ignoranza, smettiamo di vivere in automatico e iniziamo a diventare partecipanti attivi nella nostra crescita interiore.
Secondo la tradizione, l’oracolo di Delfi proclamò Socrate l’uomo più saggio di Atene. Sorprendentemente, il filosofo non accolse questo riconoscimento con orgoglio, bensì con un dubbio: come poteva essere il più saggio se non sapeva nulla? Decise allora di interrogare politici, poeti e artigiani, scoprendo che molti si credevano sapienti senza esserlo veramente. Lui, al contrario, aveva compreso un concetto fondamentale: quello del “sapere di non sapere.”
Questo non significava rifiutare la conoscenza, ma accoglierla con umiltà. Il pensiero socratico invita l’uomo a un’esplorazione continua, senza dogmi né certezze assolute. La sua maieutica – l’arte di far emergere la verità attraverso il dialogo – spinge l’interlocutore a mettere in discussione ogni convinzione, avvicinandosi alla conoscenza autentica. Infatti oggi, in un’epoca satura di informazioni, il sapere di non sapere è più attuale che mai. Ci ricorda di non dare nulla per scontato, di interrogarci sempre, di dubitare anche di ciò che riteniamo certo. Solo così possiamo aspirare alla vera saggezza.
Socrate non aveva paura di essere messo in discussione, anzi, lo cercava attivamente. Dialogava con i suoi concittadini, li sfidava a difendere le loro convinzioni, costringendoli a mettere in dubbio ciò che davano per scontato. Questo processo, noto come “dialogo socratico“, ci insegna che la verità non è qualcosa che possiamo possedere una volta per tutte. È qualcosa che dobbiamo continuamente ricercare, interrogando noi stessi e il mondo che ci circonda. Seguire il suo esempio significa smettere di temere l’ignoto e abbracciare la curiosità. Significa non accontentarsi delle risposte preconfezionate, ma immergersi nel mistero dell’esistenza con apertura e umiltà.
La filosofia di Socrate era estremamente scomoda per molti, ed è stata una delle cause principali della sua condanna a morte. Egli aveva un metodo di insegnamento basato sul dialogo e sulla maieutica, con cui metteva in discussione le certezze delle persone, soprattutto dei politici, sofisti e potenti dell’Atene del V secolo a.C. Con le sue domande incalzanti e il suo continuo mettere alla prova le convinzioni altrui, si attirò l’ostilità di molti.
Le accuse ufficiali mosse contro di lui furono:
1. Corruzione dei giovani: Socrate insegnava ai giovani a pensare con la propria testa, spingendoli a mettere in discussione l’autorità e i valori tradizionali.
2. Empietà (asebeia): Lo accusavano di non riconoscere gli dèi della città e di introdurre nuove divinità.
Ma dietro queste accuse si nascondeva probabilmente un motivo più politico: Socrate aveva avuto legami con personaggi controversi, tra cui Alcibiade e Crizia (Capo dei Trenta Tiranni), e la sua influenza sulla gioventù aristocratica destava sospetti. In un momento in cui Atene cercava stabilità dopo la sconfitta nella guerra del Peloponneso, la sua figura risultava troppo destabilizzante.
Fu processato nel 399 a.C., condannato e costretto a bere la cicuta. Avrebbe potuto fuggire o chiedere la grazia, ma scelse di accettare la condanna, coerente con la sua filosofia di rispetto delle leggi, anche quando ingiuste.
Il suo pensiero riguardo alla morte è racchiuso in un suo famoso aforisma:
“Infatti, cittadini, aver paura della morte non è nient’altro che sembrare sapiente senza esserlo, cioè credere di sapere quello che non si sa. Perché nessuno sa se per l’uomo la morte non sia per caso il più grande dei beni, eppure la temono come se sapessero bene che è il più grande dei mali. Ma credere di sapere quello che non si sa, non è veramente la più vergognosa forma di ignoranza?”
Seguire l’esempio di Socrate è come scegliere di complicarsi la vita, ma nel senso buono. È una sorta di allenamento per l’anima: smettere di accontentarsi, avere il coraggio di mettersi in discussione, esplorare l’ignoto. E se poi scopriamo che tutto quello che pensavamo di sapere è sbagliato? Meglio così! Almeno ci si è liberati del fardello delle certezze sbagliate e dettate dall’ego. E chi lo sa, forse, se scaviamo abbastanza, troveremo anche delle risposte che valgono la pena e ci ripagano per il nostro impegno. Certo, il viaggio è lungo e faticoso, ma se c’è una cosa che Socrate ci insegna è che la vera saggezza non è possedere tutte le risposte, ma continuare a fare domande.
Spezzare le catene dell’ignoranza, per guardare oltre il velo, è un processo che richiede coraggio e determinazione, ma è anche un percorso che porta alla vera libertà. Una libertà che ci permette di vivere una vita autentica, in connessione con la nostra essenza e con l’universo.