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Cultura letteratura Oltre il Velo

La Voce del Vento

Negli alberi è depositaria l’antica e profonda saggezza. Per comprendere il presente e il passato, è necessario fermarsi per ascoltare e imparare dalla loro memoria.

Capitolo 3 – il Canto degli Alberi

La foresta si stendeva sotto il cielo come un oceano verde, ogni fronda sembrava un’onda che si muoveva dolcemente al mio passaggio. Io stesso ero un viandante in quella distesa vivente, e ne sentivo il sussurro mentre mi insinuavo tra i tronchi maestosi degli alberi. Ognuno di loro portava in sé un canto antico, una melodia intessuta di stagioni e cicli immutabili. In mezzo a tutti loro si levava una voce più profonda, più saggia. Era la voce della quercia, che da secoli osservava il mondo, radicata profondamente nella terra e alzandosi verso il cielo.

Rallentai il mio cammino, sospirando tra i suoi rami alti e possenti. Sentivo il peso del tempo nelle sue foglie, il respiro lento e antico che la legava a tutto ciò che la circondava. Era tempo di ascoltare.
“Quercia” cominciai, la mia voce un bisbiglio tra le fronde, “raccontami la tua storia. Raccontami della foresta, del cielo, e di come tutto era una volta.”
Lei si mosse leggermente, un crepitio nelle sue radici profonde.
“Vento” rispose, con un tono che sembrava provenire dalla terra stessa, “la mia storia è lunga quanto la memoria della foresta. Eppure, ogni foglia che cade è parte di quella memoria, e ogni ramo che cresce porta con sé nuove storie. Ma se vuoi sapere com’era, ti dirò.”

Mi fermai ad osservarla con curiosità, e la quercia iniziò il suo racconto.
“Una volta, questa foresta era un luogo di perfetto equilibrio. Ogni albero, ogni creatura, sapeva quale era il proprio posto nel grande ciclo della vita. Io, come le mie sorelle querce, offrivamo ombra ai piccoli animali e riparo agli uccelli. Le mie radici affondavano profondamente nella terra trovando l’acqua nascosta, mentre le mie foglie si stendevano verso il cielo, accogliendo la luce del sole. Eravamo il ponte tra il cielo e la terra, il fulcro su cui girava la vita.”
Feci sentire il mio fruscio tra le sue foglie, dimostrando attenzione al suo racconto… “Gli uccelli migratori trovavano riposo tra i miei rami, cantavano delle terre lontane che avevano visto. I cervi si nutrivano delle erbe ai miei piedi, e persino l’uomo, nei tempi antichi, si avvicinava a me con rispetto. Comprendevano il nostro ruolo. Tagliavano solo ciò che serviva, e ogni volta che un albero cadeva, veniva piantato un nuovo germoglio. Era un ciclo che si ripeteva, un equilibrio sacro.” Fece una pausa, come se stesse assaporando quei ricordi, “Tutto aveva un significato. Ogni foglia caduta, ogni insetto che scavava nella corteccia, contribuiva a qualcosa di più grande. E noi alberi, come i fiumi e le montagne, ricordiamo tutto. La nostra memoria non si perde con il tempo, Vento. Anche ora, ricordo il tocco delle mani umane che ci veneravano, ci abbracciavano, che ci consideravano sacri.”
Mi feci più vicino, come per raccogliere quelle parole con maggiore attenzione.
“Ma ora, quercia” dissi piano, “non è più così, vero? L’uomo ha dimenticato. Che cosa è cambiato?”
Ella emise un rumore simile a un sospiro, un fruscio lungo e lento.
“Sì, l’uomo ha dimenticato. Hanno smesso di vedere la foresta come un essere vivente. Ora vedono in noi solo legna da tagliare, terreno da dissodare. Non riconoscono più il sacro nei nostri tronchi, nei rami che si allungano verso il cielo, e quando gli alberi cadono , non ne nascono di nuovi. Quando l’ombra scompare, la terra si impoverisce. Gli animali scappano, e tutto si spezza.”

Mi mossi leggermente tra i rami, come un tocco che mostrava compassione.
“E tu? Cosa ricordi di quei tempi? Di quando l’uomo rispettava il ciclo della vita?”
“Ricordo quando lui camminava tra di noi come parte del tutto, non come padrone” disse la quercia, con una lentezza carica di saggezza, “ricordo le tribù che ci parlavano, che ci chiedevano il permesso prima di prendere. Ricordo il loro canto, un tempo intonato in sintonia con il nostro. Ma ora i canti sono silenziosi, e ciò che una volta era un ciclo vitale è diventato una frattura.”
Mi feci più forte, come se volessi portare quelle parole lontano, verso chi avrebbe potuto ascoltare…
“Quercia, pensi che un giorno l’uomo ricorderà? Credi che tornerà a vedere la sacralità della foresta?”
Essa si fece più cupa, il suo tono divenne più greve…
“Mio amico Vento, non tutte le memorie che porto sono fatte di rispetto e armonia. Ho visto vite spezzarsi su di me, ho sentito il peso della disperazione e dell’odio. Uomini, donne, e persino bambini, hanno cercato la fine della loro sofferenza tra i miei rami, impiccandosi al mio tronco robusto. Altri, non per loro scelta, sono stati trascinati qui, legati a me con crudele precisione. Le loro voci soffocate, il loro dolore, sono radicati nelle mie fibre.”
Rallentai la mia forza, come se volessi assorbire la gravità di quelle parole.
“Le tue radici portano non solo vita, ma anche morte?” sussurrai.
Esatto” mi rispose, “Il legno, che una volta dava riparo e nutrimento, è stato spesso usato per distruggere vite. Dalle forche alle croci per le crocifissioni, il legno è stato modellato dalle mani dell’uomo per infliggere sofferenza. Gli alberi, che dovrebbero essere simbolo di vita e continuità, sono stati trasformati in strumenti di morte.”

“Parlami della croce, una forma così semplice, eppure così intrisa di dolore.” gli chiesi con timore reverenziale.
La quercia emise un lamento, come il suono di legno che si spezza.
“La croce… sì. Legno di quercia, di pino e di ulivo, sono stati plasmati in quel simbolo di morte. La crocifissione era una punizione crudele, lenta e dolorosa. Molte delle mie sorelle, molte querce antiche, sono state abbattute per creare quelle croci. Ho sentito i sussurri di quei corpi appesi, il pianto di chi ha visto morire coloro che amava. Le mie radici sono piene di queste storie di sangue e sofferenza.” Una breve pausa, e poi la quercia continuò con voce amara.. “Anche la forca è fatta del nostro legno. In ogni tempo, in ogni luogo, hanno sostenuto le corde che tolgono il respiro ai condannati. E spesso, non era la giustizia a guidare quelle mani, ma la vendetta, la paura, l’ignoranza. Ogni tronco tagliato per dare vita ad una forca è un atto di violenza contro la natura stessa. Noi diamo vita, ma siamo stati usati per togliere la vita.”

Ero scosso dalle sue parole, rimasi in silenzio per un lungo momento, portando con me il peso di quelle verità. E alla fine sussurrai:
“Quercia, è ingiusto che tu porti il peso di queste vite spezzate.”
Forse” rispose la quercia, “ma così è il ciclo delle cose. E noi alberi, come la terra stessa, assorbiamo tutto: la vita e la morte, la gioia e la sofferenza. Non possiamo scegliere cosa portare dentro di noi, ma possiamo ricordare. Ed è questo che facciamo. Ricordiamo tutto.” Rimase silenziosa per un lungo momento, le sue foglie tremolanti per la mia presenza… “Non lo so, Vento. Ma quello che so è che noi alberi, noi ricorderemo sempre. Anche quando l’ultimo di noi cadrà, la terra conserverà la nostra memoria. Le radici secche, le foglie morte, tutto racconta una storia. E forse, un giorno, qualcuno ascolterà.”

Mi mossi tra le fronde, più pensieroso ora, consapevole del peso di quelle parole.
Porterò le tue memorie lontano, quercia. Forse, qualcuno le udirà.”
“Fallo” rispose la quercia, “ma ricorda: la memoria non è abbastanza. Bisogna agire. Altrimenti, tutto ciò che siamo, tutto ciò che la foresta rappresenta, scomparirà come un tuo soffio tra le fronde.”

Carico di memorie e riflessioni, ripresi il mio viaggio attraverso la foresta, accompagnato dal fruscio delle foglie che si agitavano lievemente al mio passaggio. Ogni passo sollevava un eco di storie antiche, storie che gli alberi avevano custodito per secoli, risuonando tra i rami come sussurri di tempi lontani. Il canto degli alberi, ora più silenzioso, si fondeva con il battito del mio respiro, portando con sé il peso delle leggende dimenticate, dei segreti nascosti nelle profondità della terra e tra le radici nodose che si intrecciavano sotto di me.
Il sole filtrava tra le chiome, gettando ombre danzanti sul terreno, come se anche la luce volesse partecipare a quella narrazione senza fine. Ogni albero sembrava un testimone vivente di epoche passate, eppure in quel momento c’era un senso di continuità, come se la foresta stessa volesse ricordarmi che il tempo, per lei, scorreva diversamente.

Mentre il mio viaggio proseguiva, mi rendevo conto che non ero solo io a portare via le storie, ma anche la foresta a trasmetterle in silenzio, una presenza antica che rimaneva, nonostante tutto. Le storie non mi appartenevano più, ma erano diventate parte di quel paesaggio immutabile e mutevole allo stesso tempo, un canto eterno che avrei portato con me, ovunque il destino mi avesse condotto.

segue (….) – La saggezza del Sasso
 
  
   
  
  
      
    
 

Di L'eretico dell'invisibile

L'autore si delinea come una mente curiosa, libera da dogmi e imposizioni, che non si accontenta delle spiegazioni preconfezionate propinate da religioni, istituzioni.. o dalla stessa scienza quando si chiude di fronte all’ignoto, tanto definire folle il concetto che 2 più 2 possano far 5.
Definirsi "l'Eretico dell'Invisibile", è già una dichiarazione di intenti.. di guerra.. come quella di andare oltre ciò che è dato per scontato, oltre le narrazioni costruite per mantenere un certo ordine sociale e intellettuale, oltre le verità imposte che nel corso dei secoli hanno modellato la percezione della realtà.
È evidente che l’autore non si limita ad un singolo ambito di ricerca, ma spazia tra spiritualità, mistero, fenomeni paranormali, storia e geopolitica, affrontando tutto con uno sguardo critico e analitico.
Ma non c’è solo il mistero a guidare ad alimentare la sua curiosità. C’è anche la consapevolezza che la storia, così come ci è stata, e ci viene raccontata, è spesso il risultato di una narrazione costruita a proprio uso e consumo dai "vincitori" a cui, anche se gli dedichiamo strade e piazze, gli eroi non sempre sono tali, le guerre non sono mai mosse da ideali puri, le istituzioni hanno intrecci con il potere economico e religioso che sfuggono allo sguardo della massa. L’autore si pone, dunque, come un investigatore dell’invisibile, colui che scava sotto la superficie per portare alla luce le contraddizioni e le ombre della storia e della società contemporanea.
L’Eretico dell’Invisibile, dunque, è quel qualcuno che non si accontenta di sapere perché consapevole dell’importanza del "Sapere di non Sapere".

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