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ACCIDIA & APATIA

“Nel mondo che non dorme mai, fermarsi è un atto rivoluzionario che riconquista lo spazio per respirare. Il ‘nulla’ non è vuoto, ma la tua libertà.”

dal saggio: ACCIDIA & APATIA di Nino Colonna

Viviamo immersi in una cultura che celebra l’efficienza a ogni costo, dove il vero lusso non è più avere tempo, ma poter dire che non ne abbiamo. Eppure, nonostante la pressione costante a fare, mostrare e dimostrare, sta emergendo una silenziosa ribellione. Questa ribellione non si manifesta con gesti plateali o con slogan urlati nelle piazze. Al contrario, è una resistenza discreta, quasi impercettibile, che si insinua tra coloro che hanno osato fare un passo indietro. È la ribellione di chi ha deciso di non lasciarsi più travolgere dalla frenesia moderna, di chi ha capito che il valore della vita non può essere misurato dal numero di task completati in un giorno o dalla quantità di “mi piace” ricevuti su un post. La chiamano Accidia. La chiamano Apatia.

Questi termini, un tempo sinonimo di vizi e peccati, oggi risuonano come una forma di liberazione. Accidia e Apatia non sono i cattivi della storia, ma le migliori amiche che non sapevi di avere.

Ti sussurrano di mollare la presa, di fregartene del capo che ti scrive alle 23:00, di lasciare quel post su Instagram senza like. Sono la tua rivoluzione personale contro la tirannia delle to-do list. E, fidati, il vuoto non morde… è solo uno spazio per respirare.
Lungi dall’essere segnali di debolezza o di mancanza di carattere, sono diventate armi sottili e potenti contro l’oppressione del dover fare. In un mondo che corre senza sosta verso il nulla, un crescente numero di individui sta riscoprendo la pace e la serenità in questi antichi stati d’animo. Stanno rivendicando il diritto di rallentare, di fermarsi, di non fare nulla. Perché, in fondo, il nulla non è vuoto; è spazio per respirare, per riflettere, per essere semplicemente presenti.
Non è facile ammetterlo, soprattutto in un’epoca in cui essere impegnati è sinonimo di successo, e un’agenda piena è considerata il trofeo più ambito. Ma, chiariamo una cosa: essere costantemente occupati non è un segno di virtù, ma piuttosto un tragico sintomo di una società che ha perso il contatto con se stessa.

Questo incessante bisogno di riempire ogni minuto della nostra giornata, di essere sempre in movimento, non è altro che una forma di fuga: fuga da noi stessi, dalle nostre paure, dai nostri dubbi. Ci siamo convinti che, finché siamo occupati, stiamo facendo la cosa giusta. Ma in realtà, stiamo solo scappando.

Così, mentre la frenesia moderna trasforma il vivere in un perpetuo inseguimento di obiettivi, traguardi e liste di cose da fare, noi proponiamo un’alternativa che suona quasi scandalosa: l’accidia e l’apatia come nuove virtù, da praticare con orgoglio e senza vergogna. Perché, in un mondo che corre verso il nulla, fermarsi è un atto rivoluzionario.

Decidere di non fare, di non partecipare alla corsa, è un’affermazione di libertà. È il riconoscimento che la nostra vita non ha bisogno di essere riempita di cose, ma di spazi vuoti in cui possa germogliare il senso.

Accidia e Apatia, dunque, sono alleate della vita. Ci insegnano a non temere il vuoto, a non vergognarci della quiete, a non sentirci in colpa per il riposo. In un mondo che ci chiede sempre di più, è ora di rispondere con un po’ di meno. Meno ansia, meno stress, meno fretta. E, paradossalmente, è in questo meno che potremmo finalmente trovare quel “di più” che stiamo cercando: più pace, più consapevolezza, più vita.

Due termini che, fino a qualche tempo fa, evocavano immagini di antichi peccati capitali, di giovani sprofondati su divani polverosi, di una noia che quasi si tocca con mano. Ma oggi, è giunto il momento di rivalutare questi concetti con uno sguardo nuovo, più compassionevole e, perché no, ironicamente ammirato. Perché, diciamocelo chiaramente, in un mondo che ci chiede di essere sempre al massimo, di fare di più, di correre più velocemente, c’è forse qualcosa di più rivoluzionario che il decidere di non fare nulla?

L’ACCIDIA

Tradizionalmente associata alla pigrizia e alla mancanza di motivazione, non è altro che una raffinata forma di auto-conservazione. Quando il ritmo frenetico della vita moderna inizia a sembrare più una gara di sopravvivenza che un viaggio da godere, l’accidia interviene come un balsamo per l’anima affaticata, un gentile invito a rallentare, a non preoccuparsi troppo, a guardare il soffitto e a lasciarsi andare. Sì, proprio così: guardare il soffitto. Quella sottile crepa sulla parete? Magari ha una storia interessante da raccontare, chissà. Ma anche se non lo fa, va bene lo stesso.

L’APATIA

Quante volte è stata ingiustamente denigrata! È vero, l’apatia è quel dolce sentimento che ci permette di non curarci eccessivamente del mondo che ci circonda, di scrollarci di dosso il peso delle aspettative altrui e di vivere nella serenità del “non mi importa”. In un’epoca in cui tutti sembrano avere un’opinione su tutto e nessuno perde occasione per condividerla (o imporla), l’apatia offre una via d’uscita, un rifugio tranquillo dove il silenzio è oro e la pace interiore non è negoziabile.

A volte, le più grandi epifanie, le più profonde intuizioni, avvengono nei momenti di pausa, in quei lunghi istanti in cui ci permettiamo di non fare nulla. Quindi, che ne dite di prendervi una pausa? Sedetevi, mettetevi comodi e lasciate che l’accidia e l’apatia vi accompagnino in un viaggio senza meta, dove non c’è nessuna fretta di arrivare da nessuna parte. Perché, alla fine, forse il segreto di una vita serena non sta nel fare di più, ma nel fare meno, molto meno.

MANUALE D’ERESIA PER ANIMI ESAUSTI

Viviamo in una civiltà drogata di attività.
Gente che corre senza sapere dove, che misura la propria esistenza in KPI, che parla di “obiettivi” come se la vita fosse un’azienda in perenne ristrutturazione. Non abbiamo più tempo per respirare, ma abbiamo sempre tempo per “schedulare”.

Il sonno è un fastidio biologico, il silenzio un errore di connessione, la pausa un fallimento di sistema. E in mezzo a questo delirio produttivo, due vecchie conoscenze, da secoli messe all’indice, stanno tornando a galla come streghe sopravvissute all’Inquisizione: l’Accidia e l’Apatia. Due peccati capitali. Sì, proprio quelli del catechismo, e che oggi suonano come le uniche forme di santità rimaste. E Mentre tutti gridano “Fai di più!”, loro sussurrano: “E se non facessi un cazzo?”.

Per troppo tempo ci hanno convinti che non fare equivale a non valere. Che la dignità si guadagni solo a colpi di produttività, che la vita si giustifichi con risultati, traguardi e grafici in crescita.
Ma ditemi: cosa c’è di più osceno del dover dimostrare costantemente di esistere?

Abbiamo trasformato il respiro in performance, la presenza in vetrina, la noia in colpa.

Ecco dunque il senso di questo piccolo manuale d’eresia: rivalutare i vizi come forme di salvezza. Riconoscere nell’accidia non la pigrizia del corpo, ma l’autodifesa dell’anima. Scoprire nell’apatia non l’indifferenza, ma la libertà dal rumore. Smettere di considerare il disinteresse come un difetto e iniziare a coltivarlo come una virtù zen con le occhiaie.

Questo libro, dunque, non vi offrirà strategie per “gestire meglio il tempo”. Al contrario, vi inviterà a disperderlo con grazia, a lasciarlo scorrere come sabbia tra le dita, a smettere di contabilizzare la vita. Vi proporrà una forma di rivoluzione che non ha slogan, né bandiere, né hashtag. Una rivoluzione orizzontale, inattiva, pacificamente sovversiva. Perché nell’era della connessione perpetua, l’atto più radicale è disconnettersi.

Il saggio “Accidia&Apatia”, dunque, non vi offre strategie per “gestire meglio il tempo”. Al contrario, vi invita a disperderlo con grazia, a lasciarlo scorrere come sabbia tra le dita, a smettere di contabilizzare la vita. Vi propone una forma di rivoluzione che non ha slogan, né bandiere, né hashtag. Una rivoluzione orizzontale, inattiva, pacificamente sovversiva. Perché nell’era della connessione perpetua, l’atto più radicale è disconnettersi.

Non vi si chiede di diventare santi, ma di smettere di comportarvi da macchine.

Non vi si promette pace, ma almeno un po’ di tregua.

E se vi nascerà il desiderio improvviso di restare immobili, di guardare il soffitto, di non rispondere a una mail urgente… sappiate che non è pigrizia: è evoluzione. Missione compiuta.

L’inazione sarà il vostro nuovo gesto politico.

Evitare Qualsiasi Motivazione

Benvenuti, cari ribelli del riposo, alla lezione della mia Guida Eretica Anti Fuliggini. Non troverete strategie per conquistare il mondo, scalare montagne o scrivere il prossimo bestseller. No, signore e signori, capirete l’arte suprema di soffocare la “motivazione” prima che abbia il coraggio di alzare la testa. Perché, diciamocelo, la motivazione è solo un’ospite indesiderata che bussa alla porta con un’agenda piena di “cose da fare”. E noi? Noi la lasciamo fuori, a raccogliere fuliggini, mentre tessiamo le nostre ragnatele di gloriosa inerzia.

Perché noi non siamo qui per competere. Siamo qui per sabotare.

L’Arte della Scusa Perfetta

Ogni eretico dell’inazione, o aspiranti tali, deve imparare l’arte sottile della scusa. Non serve mentire: basta non essere disponibili alla vita.

E le scuse migliori sono quelle sospese, eleganti e impossibili da verificare. Ecco alcune reliquie del nostro repertorio:

– “Ho un impegno.” (Con chi? Con te stesso.)

– “Sto finendo una cosa importante.” (La contemplazione, ovviamente.)

– “Non mi sento al 100%.” (Il 60% è più che sufficiente per l’illuminazione.)

La chiave di tutto è il tono che usate.  Pronunciate queste frasi con una calma disarmante, quasi ascetica. Non spiegatevi. Non sorridete. E se qualcuno insiste, fissate un punto indefinito nello spazio e dite: “Ci penso.”

Non lo farete mai. E sarà perfetto così. Nel frattempo prendete in seria considerazione la “distrazione” come filosofia… è il vero balsamo dell’eretico. Non quella ansiosa dei social, quella è solo fuliggine digitale, ma la distrazione contemplativa, l’arte del nulla produttivo.

Alcune pratiche che consiglio:

Scegliete un angolo della stanza e guardatelo finché non diventa infinito.

– Esplorare il frigorifero: non per mangiare, ma per contemplare il destino di una mozzarella dimenticata.

– Scorrere playlist per ore senza mai premere play.

Ogni atto di distrazione è un colpo inferto al culto della produttività. Ogni minuto speso a contemplare il nulla è un atto di disobbedienza mistica.

Il Divano, Tempio dell’Accidia

Tutto comincia dal luogo sacro. Non un luogo di culto nel senso tradizionale, ma un altare orizzontale: il divano.
Non è un arredo, è una dichiarazione di fede. La sua morbidezza calibrata, la distanza strategica dalla scrivania, la vista sul nulla… tutto concorre a una sola verità: “Chi siede sul divano non fugge dal mondo. Lo osserva da una posizione spiritualmente superiore.”
Il divano ideale non dev’essere perfetto. Un po’ di briciole, un accenno di polvere tra i cuscini, una ragnatela che cresce fiera: segni tangibili di resistenza estetica. Non è trascuratezza: è biodiversità domestica. E quando qualcuno vi chiede perché non lo pulite, rispondete con calma: “Sto coltivando un ecosistema contemplativo.”
Accade anche che mentre voi, tranquilli, state pranzando o cenando, la TV prova a vendervi:

·   un anti-diarrea tra il primo e il secondo

·   un antidolorifico proprio nel morso più croccante

·   una merendina, subito seguita da immagini di bambini che muoiono di fame (la schizofrenia audiovisiva non è un bug: è una strategia)

La ribellione parte da qui. In tutto questo contesto si muove una confraternita silenziosa, più sovversiva di qualsiasi gruppo hacker: una setta segreta che organizza scioperi del telecomando per far crollare il PIL.

E quando il PIL cala, non è la crisi: è un popolo che finalmente respira. Gli economisti si disperano, cala la vendita dei lassativi, le aziende urlano al disastro e i politici cercano colpevoli.
Abbandonare il telecomando… un gesto semplice e sovversivo: lasciar morire l’Auditel, non nutrire Netflix, sabotare l’economia dell’attenzione stando perfettamente immobili. La scienza conferma che il cervello, quando smette di essere frustato da compiti e notifiche, apre passaggi segreti di creatività pura proprio mentre fissate il soffitto con lo stesso entusiasmo di un cactus disidratato.

Non è pigrizia: è ricerca sull’inerzia applicata.
Un rito antico in cui si attende che sia il soffitto, esasperato dal silenzio, a parlare per primo.

Alcuni la chiamano “perdere tempo”. Noi eretici la chiamiamo: Metodo Empatico di Osservazione Gravitazionale.

L’Arte della Scusa Perfetta

Evitare la motivazione richiede strategia, e la scusa perfetta è il tuo scudo contro il mondo che ti spinge a “fare qualcosa”. Le scuse migliori sono semplici, credibili e, soprattutto, impossibili da verificare. Ecco un breve elenco delle nostre preferite:

·     “Ho un impegno”: Vago, elegante, universale. Non specifica cosa, dove o quando. Potrebbe essere un appuntamento dal dentista o un incontro immaginario con il tuo gatto.

·     “Sto finendo una cosa importante”: Perfetto per il lavoro. Nessuno chiederà dettagli, e tu potrai continuare a scorrere meme sul telefono.

·     “Non mi sento al 100%”: La salute è intoccabile. Un mal di testa vago o un “mi sento un po’ giù” sono scuse che spengono qualsiasi richiesta.

Il trucco? Pronunciate la scusa con un tono calmo, quasi apatico. Non giustificatevi troppo: l’apatia è il vostro superpotere. Se insistono, fissateli con uno sguardo vuoto e dite: “Ci penso.” Non lo farete mai, ovviamente, ma il mondo non ha bisogno di saperlo.

Diogene prendeva in giro i potenti con un’alzata di spalle; Thoreau diceva “no grazie” alla corsa al successo. Il loro “domani” era un manifesto: lascia che le fuligini si depositino altrove, e che le ragnatele della tua accidia raccontino la tua storia.

Gli psicologi moderni, forse inconsapevoli di essere eretici, ci danno ragione: procrastinare riduce lo stress e stimola la creatività.

Quando smetti di forzare la mente, essa inizia a tessere le proprie ragnatele di connessioni, invisibili ma potenti.

Quando dici “non ora” e ti sdrai sul divano, il tuo cervello non si spegne: tesse ragnatele, crea collegamenti, sogna soluzioni che non avresti mai trovato in una riunione Zoom alle 8 di mattina. Gli scienziati lo chiamano default mode network, quella rete neurale che si accende quando smetti di fare e inizi a essere.

Ricordi quel mito che usiamo solo il “10% del cervello”?
Una bugia, certo. Ma ammettiamolo: è una bugia poetica. Forse quel 90% dormiente è proprio lo spazio dell’accidia, il laboratorio segreto dove nascono le scuse migliori e le intuizioni più brillanti. E noi, con il nostro procrastinare, stiamo aprendo le porte a un cervello che non ha bisogno di correre per brillare.

E chissà, forse l’accidia è l’apripista per il genio che non sapevi di avere. O, almeno, per le scuse più creative mai inventate.

E se qualcuno ti accusa di essere pigro, rispondi con un sorriso: “Sto sbloccando il 90% del mio cervello. E tu, cosa stai facendo con il tuo?”
 


 
 
 
 


 


 
 
 
 
  


 
 
 
 
 
 

Di l'Eretico dell'Invisibile

Un autore versatile di romanzi, saggi e testi di spiritualità. È un pensatore e un provocatore noto per la sua onestà brutale e il suo inconfondibile tono ironico.
Stanco del conformismo e delle promesse vuote della spiritualità New Age, l’Eretico ha fatto della sua missione quella di offrire una terapia d'urto a chi è pronto per la Consapevolezza Reale, delineandosi come una mente curiosa, libera da dogmi e imposizioni, che non si accontenta delle spiegazioni preconfezionate propinate da religioni, istituzioni… o dalla stessa scienza quando si chiude di fronte all’ignoto, tanto da definire folle il concetto che 2 più 2 possano far 5.
È evidente che l’Eretico non si muove entro i confini di un solo ambito: attraversa spiritualità, mistero, fenomeni paranormali, storia e geopolitica con la naturalezza di chi non teme la complessità. Il suo sguardo è sempre critico, analitico, mai compiacente.
E non è soltanto il fascino dell’ignoto ad alimentarne la ricerca: è la consapevolezza che la storia, così come ci viene consegnata, è spesso il prodotto di una narrazione costruita dai “vincitori”. Perché anche quando dedichiamo strade e piazze agli eroi, non sempre quegli eroi lo sono davvero; le guerre raramente nascono da ideali puri; le istituzioni intrecciano da sempre rapporti opachi con poteri economici e religiosi che sfuggono allo sguardo della maggioranza.
L’autore diventa così un investigatore dell’invisibile: qualcuno che scava sotto la superficie e porta alla luce le contraddizioni, le omissioni e le zone d’ombra della storia e della società contemporanea.
L’Eretico dell’Invisibile è esattamente questo: colui che non si accontenta di conoscere, perché sa che il primo passo verso la verità è riconoscere, con umiltà ma anche con coraggio, l’importanza del “sapere di non sapere”.

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