Questo è il Museo dedicato a Morgagni, docente di anatomia vissuto tra il 1682 ed il 1771, inventore del metodo anatomo-clinico e dell’anatomia moderna.
Situato nel cuore del centro città, il Museo di Anatomia Patologica di Padova è dedicato a Giovanni Battista Morgagni (non a caso nominato anche dai suoi colleghi “Sua Maestà Anatomica“), fondatore dell’Anatomia patologica e ricopre un ruolo fondamentale per la sua funzione didattica.
Inaugurato circa negli anni ’70 dell’800, questo Museo raccoglie circa 1300 reperti catalogati per patologia (tra lebbra, deformazioni quali ciclopi o gemelli toraco-paghi, argirosi e tante altre!) nonchè metodi di conservazione, quali la mummificazione, cerificazione e la tannizzazione, sotto formalina o a secco.
Il Museo ricopre un ruolo fondamentale nella didattica ma è altresì un tributo a tutti gli anatomisti del passato, come Vesalio, Brunetti o Fanzago: al suo interno il visitatore può toccare con gli occhi, come a me piace dire, tutte quelle che sono alcune delle patologie passate ad oggi debellate, in qualche modo fermate nel loro tempo dietro queste splenide teche.
Si rimane affascinati da questi reperti, complici e testimoni di stranezze e mirabilia ad oggi solo lontano, lontanissimo ricordo ma che al contempo può farci riflettere sulla delicatezza del corpo umano, spesso e volentieri involucro di batteri e virus.
Possiamo distinguere tra reperti preparati a secco, quali ad esempio la mummificazione, risultavano più durature e semplici ma con diversi difetti legati alla trasformazione dell’esemplare originario (problema che non si poneva per i reperti ossei).
Vi sono poi i preparati sotto liquido, dove l’esemplare veniva fissato attraverso un liquido conservativo ed infine immerso in esso dentro un barattolo di vetro.
Nell’immagine di copertina che di seguito viene riproposta, troviamo colei che ritengo un po’ la “Regina”, ovvero il busto della Suicida punita, un reperto tannizzato da Brunetti.
Questo pezzo, che vinse la Medaglia d’Oro all’Esposizione Universale di Parigi nel 1867, rappresenta il busto di una giovane donna che, secondo la storia, si suicidò di seguito ad una delusione d’amore ed il cui corpo venne rinvenuto nel fiume che scorreva proprio sotto le finestre dello stesso Istituto.
Nel recuperarlo, vennero usati ganci e corde i quali rovinarono la pelle e gli occhi della ragazza: Brunetti dapprima effettuò un calco in gesso del volto, le spellò il volto, non danneggiandone i capelli, effettuò una sgrassatura ed infine fissò con l’acido tannico la pelle che ripose sul busto ottenuto dal calco.
Infine, per mascherare le lesioni, il Brunetti sfruttò le stesse per rimarcare la punizione dell’atto suicidario, collocando dei serpenti in volto intenti a divorarlo.
Nel novembre del 2018 il Museo è stato riaperto proponendo una forma rinnovata da un punto di vista strutturale nonchè didattico-scientifico: i reperti risultano essere valorizzati ed al contempo preservati ancora più in sicurezza garantendo al visitatore una visione a 360° ed ottimale degli esemplari.