Norbert Elias, sociologo, ha spiegato con delicatezza e chiarezza la condizione del morente contemporaneo: la solitudine nell’andarsene, tra indifferenza e pietà.
Conosciuto per il suo “Processo di civilizzazione“, opera scritta nel 1939, Elias è stato un sociologo tedesco di origine ebraica.
Grazie alla sua analisi sulla società, la vita quotidiana ha denudato il suo reale scheletro, quello fossilizzato su e da regole per lo più risalenti al passato che forniscono le basi per il processo – in continua mutazione – di civilizzazione che plasma la vita sociale e la sua psicologia.
Ne “La solitudine del morente” Elias delinea con forte chiarezza ciò che accade ad ognuno (o quasi) di noi man mano che il tempo scorre e si fanno i conti con la solitudine più avara ma destinata all’universale: l’isolamento di colui che si dona alla morte, elemento tanto rimosso quanto importante nella nostra società.
Nell’età contemporanea stiamo, piano pianissimo ma non c’è fretta, ricostruendo una gestione del lutto finalizzata all’elaborazione più profonda e naturale del lutto nel pieno rispetto e dignità del nostro caro.
Case funerarie, funeral planning, cerimonie e trattamenti di tanatoestetica stanno prendendo piede in Italia sempre più negli ultimi anni, portando nuovamente alla luce una nostra profonda e radicata cultura funeraria andata persa con i processi di ospedalizzazione e evoluzione – in senso individualistico – della società.
La società industriale e “civilizzata” ha imposto un modello di vecchiaia, solitudine e morte standardizzata come ogni suo altro processo: il morente viene isolato, la morte rimossa, invecchiamo e lasciamo questo mondo in solitudine, sebbene si venga al mondo strillando con tutta l’aria – poca – che abbiamo nei polmoni.
Il distacco dalla società, quando si invecchia e quando ci si sta avvicinando a quel tanto – talvolta – agognato “arrivederci” alla vita terrena, risulta essere sempre più in solitudine, senza conforto alcuno degli affetti che ci hanno accompagnato nel colore della vita.
Veniamo sempre più abituati a controllare le nostre emozioni, i nostri affetti, le nostre pulsioni e chiamati a gestire anche le più viscerali sensazioni legate al dolore, tra cui quello della Morte.
Questo perchè la società “premia”, in qualche modo coloro capaci di controllare tutti gli impulsi che possano rallentare o addirittura arrestare i processi di civilizzazione e produttività.
Si è incapaci di gestire il disagio che la morte provoca in noi, sia verso coloro che la stanno esperendo e sia verso noi stessi, poichè senza strumenti validi per affrontarla.
La paura di sapersi commuovere, trattenere le lacrime, cercare di reprimere ogni sentimento di umana pietà..questo è il risultato.
In realtà dovremmo porci spesso e volentieri qualche domanda o riflettere su ciò che siamo, ovvero siamo tutti destinati ad un finale comune: ogni vita avrà fine. Solo quando capiremo che la Morte è parte della Vita allora, forse, inizieremo ad onorare quest’ultima senza compromessi.
L’essere umano è conscio assai della sua morte, come di quella dei suoi cari ed è proprio per tale motivo che essa diviene un problema.
Ma tentare di rimuoverla, attingendo a menzogne consolatorie non fa altro che rendere ancor più pericolose tutte le conseguenze che l’occultamento della Morte ha, poichè non vi sono strumenti adatti ed utili per gestire ed elaborare in modo sano il lutto.
Altra riflessione è, sul punto di morte, il domandarsi quanto la propria vita sia stata effettivamente vissuta, i modo pieno e sensato. Saremmo capaci di porci tale quesito anche nel qui ed ora, mentre scrivo o mentre leggete questo articolo?
Certamente, siamo soli anche nel corso della vita, possiamo sentirci soli anche in mezzo a tanta gente, o quando siamo impossibilitati nell’incontrare coloro di cui avremmo bisogno per un buon vivere.
In realtà, ben pensandoci, dovremmo concentrarci sull’importanza che l’Uomo ha per gli altri esseri umani: in punto di morte il morente deve sentirsi non escluso ma amato dalla sua comunità di viventi.
Vi lascio quindi con un passo del testo, su cui riflettere:
“Ma, una volta morti, gli uomini certamente non sanno se i vivi li trattano con rispetto. Anche la solennità con cui si circonda la cerimonia funebre e la tomba, l’idea che in prossimità del sepolcro debba esservi silenzio e che in cimitero si debba parlare a bassa voce per non disturbare la quiete dei defunti, sono in definitiva tutte le forme di distanziamento dei vivi dai morti, mezzi per allontanare dai vivi la minaccia insita nella vicinanza dei morti“.
La solitudine del morente, Elias, N., 1982