Abbiamo davvero paura di invecchiare o è per lo più il terrore di morire che non ci fa affrontare la vita in armonia con il mondo che ci circonda?
Il post covid ci ha posti su un piano di riflessione sulla morte, dimenticata o relegata spesso come eventualità, non come certezza.
L’evoluzione dei processi nel potersi dire “addio” ha visto il passaggio da una morte naturale, per lo più entro le mura domestiche, tra l’amore e il dolore concreto dei dolenti, all’ospedalizzazione che, dagli anni ’70, ha fatto sì che la morte si allontanasse piano piano dalla quotidianità, creando un vortice senza fine tra l’illusione di vita eterna e gioventù illimitata.
Essa infatti ha iniziato a stabilirsi con il suo pesante bagaglio entro gli ospizi, gli ospedali e case di cura privandoci di imparare molto dalla saggezza di chi ha vissuto prima di noi.
In realtà, abbiamo dovuto fare i conti con ciò che mai avremmo immaginato: l’ultimo saluto ai nostri cari senza nemmeno poter condividere un’ultima parola, un’ultima carezza, un ultimo gesto speciale di affetto e di intimità soffocati da un male invisibile e fino ad oggi senza soluzione.
Il Covid ha stravolto il nostro modo di approcciarci alla morte, ai suoi rituali e alla nostra condivisione – negli ultimi anni sempre più relegata in realtà ad una visione privata del cordoglio – sociale del lutto, facendoci scoprire quanto la sofferenza più estrema riesca a risvegliare in noi sentimenti di comunità e di universalità nell’affrontare il dolore.
Plasmare un’immagine serena e armonica con la morte, attraverso un suo inserimento nel discorso quotidiano, può aiutare a sviluppare al contempo un’idea positiva di invecchiamento, ritenuto alla stregua di un morbo.
Lo abbiamo vissuto sulla nostra pelle, soprattutto quando nel pieno della pandemia globale l’età risultava quale fattore capace di “sminuire” il decesso di un individuo, dimenticandosi di ricordarne l’unicità dell’essere.
Saper invecchiare e accettare al contempo l’idea di morire può essere utile soprattutto per affrontare la vita con maggiore consapevolezza e rispetto per l’Altro: dare il peso che merita alle relazioni umane, ritornare alla genuina condivisione della vita e del lutto in qualità di fatto sociale riconosciuto a tutti gli effetti.
Non siamo disposti ad accettare le prime rughe ed i capelli bianchi, il cedimento iniziale della massa muscolare e, quindi, cerchiamo di fermare questo irreversibile processo senza però giungere mai all’eterna giovinezza, nè tantomeno alla vita eterna.
Cullare il morente e accompagnarlo nel suo ultimo percorso è fondamentale per sviluppare capacità di ascolto attivo, pazienza e compassione, empatia nella vita quotidiana, mettendoci a tu per tu con i sentimenti di perdita ma anche di gratitudine.
E torneremo forse a comprendere la necessità di invecchiare, ad accettare il passaggio del Tempo e del nostro percorso qui ed ora Oltre-passando, così, la paura di morire che tanto ci travolge.