Nella politica moderna, la mitica frase “Io so’ io.. e Voi nun siete un cazzo” trova una risonanza impressionante, quasi fosse il segreto non detto di ogni leader che raggiunge le alte sfere del potere. Quello che una volta era il manifesto di un marchese borioso, oggi è il sottotesto di ogni decisione politica, di ogni conferenza dall’alto come una mannaia sulle vite dei comuni cittadini, e magari approvato in piena notte mentre siamo a letto a sognare giorni migliori.
I leader politici, con il loro atteggiamento di superiorità e arroganza, incarnano perfettamente questo spirito. Il potere, per loro, non è uno strumento da usare con responsabilità o per il bene comune, ma un modo per ricordare al mondo chi comanda davvero. E chi comanda, ovviamente, è sempre “Io”, mentre il popolo, con le sue richieste e le sue lamentele, non è altro che il “Voi”, ovvero la massa indistinta e irrilevante. Uno degli aspetti più evidenti dell’arroganza del potere politico è l’idea che ogni decisione presa da chi è al comando sia giusta per definizione in quanto le istituzioni non sbagliano mai, e se lo fanno beh, è sicuramente colpa di qualcun altro. I leader politici agiscono come se fossero investiti di una saggezza divina, immuni da critiche, suggerimenti o (cielo non voglia) autocritica. Il concetto di responsabilità si dissolve, perché chi è al potere ha già deciso cosa è meglio per tutti, e se non sei d’accordo beh, allora non hai capito una beata mazza. Prendiamo, ad esempio, le conferenze stampa dopo decisioni controverse. Un leader politico può promuovere e annunciare la chiusura di scuole, il taglio di fondi per la sanità o nuove misure fiscali che strangolano la classe media, tutto con un sorrisetto sicuro di sé e un tono che dice chiaramente: “Io so’ io.. e Voi nun siete un cazzo.” E qualsiasi domanda che esca dai margini dell’adorazione incondizionata viene liquidata con sufficienza, se non con fastidio.
Perché mai un semplice cittadino dovrebbe avere l’audacia di contestare le decisioni di chi è così palesemente superiore? Ma la cosa più bella è che, di sovente, questi si giustificano dichiarando: “stiamo attuando quello per cui i cittadini ci hanno dato incarico con il voto”… e non hanno tutti i torti, chi li ha votati sono causa del loro male, e quindi che piangano se stessi. Le istituzioni, quelle stesse che dovrebbero essere al servizio del cittadino, finiscono per diventare monumenti all’arroganza del potere. Appaiono come fortezze inespugnabili dove chi vi entra si trasforma in una figura distante, quasi divina. I politici che varcano le soglie di questi edifici sembrano dimenticare immediatamente chi li ha messi lì. Le richieste della popolazione, il benessere della comunità, tutto passa in secondo piano rispetto all’esercizio del potere e alla perpetuazione del proprio status. Qui, il messaggio è chiaro: “Noi siamo noi, e Voi non siete nulla.” Chi siede sulle poltrone di comando sa di essere in una posizione privilegiata, dove le critiche scivolano come l’acqua su un impermeabile. Le istituzioni diventano il simbolo della separazione tra chi detiene il potere e chi lo subisce. Ogni decisione, anche la più impopolare, viene giustificata con un linguaggio complesso e spesso incomprensibile, proprio per ricordare al popolo che loro, gli eletti, sono ‘troppo intelligenti’ per essere capiti da chi vive la vita reale.
Una delle armi più affilate nell’arsenale dei leader politici è la narrazione. In questo gioco, l’arroganza diventa quasi poetica. Ogni azione, anche la più discutibile, viene presentata come parte di un piano più grande, di una visione illuminata che solo il leader e la sua cerchia ristretta possono davvero comprendere. Il potere si autogiustifica, e qualsiasi atto, per quanto ingiusto o autoritario, viene rivestito di una patina di inevitabilità. Il leader, quindi, non è solo “io”, ma “io che vedo oltre.” Le decisioni non sono mai sbagliate ma fraintese dal volgo, incapace di comprendere le complessità della governance. Se una politica fallisce non è mai perché era una cattiva idea, ma perché il popolo non l’ha saputa apprezzare. “Io so’ io.. e Voi nun siete un cazzo” qui diventa una dichiarazione di superiorità intellettuale, dove il potere non ha bisogno di spiegarsi, perché tanto nessuno sarebbe in grado di capirlo.
Sentirsi indispensabile: L’arroganza del Leader infallibile
Un altro aspetto dell’arroganza dei leader politici è la loro presunta indispensabilità. Si presentano come gli unici in grado di guidare la nazione, come se il mondo intero crollasse senza di loro al timone. Sono loro, e solo loro, ad avere le risposte, la visione, la forza per risolvere ogni problema. Il leader non solo è superiore, ma è ‘l’unico’ che conta. La democrazia diventa un esercizio formale, un teatro dove il leader recita la parte del servitore del popolo, ma dietro le quinte è il sovrano indiscusso. Alla fine, l’arroganza dei leader politici e delle istituzioni non è altro che una recita ben orchestrata, dove il potere viene presentato come qualcosa di sacro e intoccabile. La frase “Io so’ io.. e Voi nun siete un cazzo” non è solo una dichiarazione di superiorità, ma un mantra che giustifica ogni abuso, ogni decisione impopolare, ogni atto di disprezzo verso chi sta sotto. Il popolo viene ridotto ad una massa senza volto e utile solo per confermare la supremazia di chi comanda. E mentre il leader politico continua a esercitare il potere con arroganza, noi restiamo spettatori impotenti di un gioco dove le regole sono state scritte da chi detiene le chiavi del potere.
La Maschera della Democrazia
Tanto per iniziare, possiamo tranquillamente dire che un governo con falsa democrazia è un maestro dell’apparenza. L’Io so’ io in questo caso si presenta come un leader che ascolta il popolo, o almeno che fa finta di farlo. Si tengono elezioni, si scrivono costituzioni, si creano partiti, a volte finti e a volte esilaranti, giusto per garantirsi la poltrona in favore della direzione del vento che tira. Tutti gli strumenti democratici ci sono, simili alle decorazioni natalizie su un albero di plastica. “Guarda, c’è la libertà di parola”, dicono, mentre il dissenso viene cordialmente invitato a un incontro nelle prigioni sotterranee o, se va bene, a una lunga vacanza in esilio. Un governo con falsa democrazia è un teatro affascinante in cui il protagonista è sempre lo stesso: il ‘Politico Sovrano’. Questi tipi di governo amano travestirsi con il costume della democrazia, sfilando sul palcoscenico del potere, acclamati dal pubblico ignaro (o troppo stanco per fischiare), mentre dietro le quinte tirano le fila come veri maestri burattinai. Un’operetta dove la farsa è elevata a virtù politica, e l’Io so’ io diventa l’epitome dell’autorità. E come dimenticare il famoso “dibattito parlamentare”? Un’autentica sfilata di marionette, dove il capo governa da dietro, nascondendosi dietro schermi di burocrati servili. Le decisioni? Già prese prima della riunione, ovviamente! Ma si sa, è importante far finta che ci sia un processo democratico, almeno per apparire bene sui mass media esteri.
Il Sovrano Eletto
Questi si presenta agli elettori come un campione della democrazia: “Sono stato eletto, quindi sono il rappresentante del popolo!” grida dai palazzi del potere, e ovunque gli sia data la possibilità di farlo. Ma attenzione! Questo è un politico di nuova generazione. È stato eletto non per rappresentare il popolo, ma per “insegnargli cos’è davvero la democrazia”. Se la gente osa protestare, è evidente che non ha capito bene il suo ruolo. “Dobbiamo educarli!”, esclama il Sovrano. In verità, il concetto di “eletto”, in questo tipo di governi, è affascinante: è un po’ come assistere allo spettacolo di un illusionista. Ci si illude di votare per chi si vuole, ma alla fine chi appare sul trono è sempre lo stesso o il suo clone più fedele, oltre dalla pletora di leccapiedi scelti da lui.. non dal popolo. Le urne sono solo un accessorio di scena, un modo per mantenere viva l’illusione che il popolo abbia voce in capitolo. Il risultato? L’Io so’ io” governa senza sforzo, con il sorriso benevolo di chi sa di essere indispensabile, se non addirittura insostituibile. Nel governo della falsa democrazia, il politico con la sindrome dell’Io so’ io è un genio della contraddizione. Lui è il più grande promotore della libertà, ma solo a patto che coincida con i suoi interessi.. “Tutti sono liberi di esprimere la loro opinione, purché sia uguale alla mia!” In pubblico, si batte sul petto difendendo la giustizia e i diritti dei cittadini, ma dietro le quinte si occupa di manovrare la giustizia e svuotare di significato i diritti stessi. In eventi sul tema della ‘trasparenza’ si organizzano conferenze stampa e interviste orchestrate dove, il nostro eroe dell’Io so’ io, risponde a tutte le domande che ha precedentemente concordato ed approvato, lasciando il pubblico estasiato dalla sua capacità di “dialogo” e “apertura”. Tuttavia guai a fare domande scomode: quelle sono viste come atti sovversivi, degni di repressione, seppur con un sorriso democratico.
Anche l’economia, sotto l’egida dell’Io so’ io, è una delizia di falsità. Viene proclamato l’amore per il libero mercato, ma è curioso notare come i ‘contratti pubblici’ finiscano sempre nelle mani di pochi fedeli amici o parenti stretti. I concorsi pubblici sono veri e propri tornei teatrali, dove la competizione è fittizia e il vincitore è già designato. L’economia prospera, sì, ma nelle tasche giuste. Il Sovrano democratico non teme di proclamarsi difensore dei più poveri, nonostante viva in palazzi dorati con automobili blindate e jet privati. Per lui, la povertà è un tema caro, da citare spesso, ma da non frequentare mai. Del resto, cosa sarebbe il potere senza un pubblico umile da guardare dall’alto? In questo panorama, l’Io so’ io.. e Voi nun siete un cazzo è più di una filosofia di governo: è un’arte, una performance continua. Un governo con falsa democrazia funziona come un’orchestra dove il direttore suona ogni strumento, e il pubblico applaude perché non c’è scelta: l’alternativa è il silenzio, che sa di censura. E così, con un grande inchino, il Sovrano esce di scena, solo per tornare alla prossima elezione, pronto a ripetere il suo numero. Dopotutto, chi altro potrebbe governare se non lui?
– Io so’ io.. e Voi nun siete un cazzo – Società e Gerarchia Sociale

Immaginiamo di entrare in una sala lussuosa, dove l’aria è impregnata di profumo di status e privilegio. Qui, la frase “Io so’ io.. e Voi nun siete un cazzo” non è solo quanto pronunciato dal Marchese ma una filosofia di vita, la colonna sonora di ogni cena di gala, di ogni consiglio di amministrazione e, ovviamente, di ogni riunione tra amici d’élite. Ma non preoccupatevi, voi “nun siete un cazzo”, e quindi va bene così. Tanto la gerarchia sociale ha bisogno di voi per lo spettacolo, ma giusto come comparsa. Nella nostra gloriosa piramide sociale, gli individui ai piani alti non sono lì per caso.. no no. Loro sono il frutto di una selezione divina, un capolavoro genetico combinato a un lignaggio impeccabile. Non è una questione di merito o fortuna, ma di una superiorità che si rivela fin dalla nascita, come se il solo essere venuti al mondo tra seta e oro li rendesse automaticamente ‘Più’ di tutti gli altri. Chi nasce in queste condizioni ha già vinto alla lotteria della vita, e quindi che bisogno c’è di dimostrarlo? In fondo, quando sei nato “Io”, che ti frega di chi sta sotto? Quelli non sono altro che comparse, pedine di un grande gioco di cui loro sono i registi. E se qualcuno osa lamentarsi? Beh, si ricorrere alla frase magica: “Io so’ io.. e Voi nun siete un cazzo”, e tutto torna al suo posto, ok? Ma lasciate che vi descriva il mio punto di vista, o se vogliamo, la mia filosofia in merito al nascere ‘fortunati’. A mio parere il nascere ‘fortunati’ è una vera e propria sventura… e vi spiego perché.
La mia filosofia sull’essere “una sventura” nasce dalla riflessione su ciò che si considera, generalmente come fortuna, quella il nascere in una condizione di privilegio, dotati di risorse, talento o opportunità che facilitano la vita. Questo, però, può trasformarsi in un ostacolo insidioso. La fortuna, che a prima vista appare come un dono, può nascondere un inganno, alimentando una vita in cui si ha l’impressione di poter ottenere tutto senza sforzo. Questo privilegio di avere mezzi, intelligenza o talento può paradossalmente privare l’individuo di uno degli stimoli più profondi per la crescita personale: il superamento delle avversità. E infatti, quando tutto sembra già a portata di mano, l’impulso a lottare per qualcosa può spegnersi, creando un senso di vuoto. È nel combattere per i propri traguardi che si costruisce il significato profondo del successo. Chi affronta ostacoli e riesce a superarli sviluppa una consapevolezza delle proprie capacità, una resilienza che nasce dal confronto con i propri limiti e dall’affinamento delle proprie abilità. Al contrario, per chi ottiene tutto troppo facilmente, l’assenza di sfide può portare a un’apatia esistenziale, una sensazione di aver perso la propria direzione e il proprio valore. La fortuna che evita le sfide può anche far nascere dubbi sulla legittimità dei propri successi, poiché il risultato non sembra essere frutto di impegno personale. Questo può portare a una profonda crisi identitaria: come posso definirmi davvero, se non sono stato messo alla prova? Di fronte alla facilità, la persona “fortunata” può perdere l’opportunità di trovare una propria autentica dimensione, di scoprire chi è davvero al di là delle proprie circostanze. La mancanza di ostacoli e il ricevere tutto senza fatica può quindi diventare una prigione invisibile, in cui l’individuo non ha bisogno di sforzarsi per conoscere il proprio potenziale.
Essere “sventurati” in questo contesto è quindi un’opportunità per scoprire il valore del proprio cammino, per vivere ogni conquista come espressione di sé. La vita di chi ha dovuto lottare è arricchita dalla profondità delle esperienze, dal gusto della vittoria guadagnata, e dalla consapevolezza di quanto sia prezioso ciò che si è raggiunto con il sudore della propria fatica. Essere fortunati, quindi, è una sfida più complessa di quanto sembri, poiché rischia di sottrarre alla persona la possibilità di trovare autentico significato e soddisfazione nella propria esistenza.
trLa mia filosofia sull’essere una sventura, il nascere ‘fortunato’, può sembrare un concetto paradossale ma che invita a riflettere su come la fortuna, generalmente vista come un vantaggio, possa portare con sé sfide profonde. Essere nati fortunati con ricchezza, privilegi o talenti innati, può portare a una vita in cui abbiamo l’illusione che molti obiettivi siano facilmente raggiungibili. Tuttavia, ciò può anche togliere significato all’ambiziosa ricerca personale del successo. Se tutto viene ottenuto senza sforzo, ci si potrebbe sentire privati del senso di compimento che deriva dall’affrontare difficoltà e superare ostacoli.
Lo stesso Friedrich Nietzsche, filosofo e saggista tedesco, riconosce che il mondo non rispecchia i desideri dell’uomo, il mondo è caos. Egli sottolineava come la lotta e il superamento delle difficoltà siano fondamentali per lo sviluppo di una personalità forte e autentica. Nascere senza difficoltà potrebbe ostacolare questo processo. Quindi la mia filosofia, a quanto pare, regge nel sostenere che, paradossalmente, chi è nato fortunato può sperimentare una forma di vuoto esistenziale. Se la vita è priva di sfide, il senso di avere uno scopo può sfuggire. E inoltre, giusto per essere più incisivo, in maniera schematica aggiungo:
A) Chi non affronta difficoltà o sfide può non sviluppare la resilienza necessaria per affrontare le inevitabili difficoltà della vita. Essere abituati a ottenere tutto facilmente può rendere difficile affrontare i primi veri ostacoli, generando una vulnerabilità psicologica quando le situazioni cambiano.
B) L’essere umano, gettato nel mondo, deve costruire sé stesso attraverso le proprie scelte. Una vita senza prove potrebbe far perdere il senso di libertà e responsabilità nell’autodefinizione.
C) La fortuna può creare un senso di disconnessione dagli altri. Essere nati in un contesto privilegiato potrebbe rendere difficile comprendere le sofferenze e le esperienze di chi vive in condizioni più svantaggiate. Ciò può portare a un isolamento emotivo e ad una mancanza di empatia. La fortuna, se non gestita con consapevolezza, potrebbe anche generare una coscienza morale distorta, in cui si perde il contatto con la realtà dell’ingiustizia sociale.
D) Una fortuna spropositata può portare ad una forma di dipendenza dal privilegio in cui, l’individuo, non sviluppa mai le abilità per affrontare difficoltà o vivere senza le comodità che ha sempre avuto. Questo può rendere il soggetto vulnerabile a qualsiasi cambiamento improvviso del suo stato.
Se avete assunto un’espressione di plauso e approvazione per quanto scritto sino ad ora, vi ringrazio. Ma voglio condividere il tutto con voi che avete avuto la pazienza di seguirmi… almeno fino ad ora. E comunque concludo affermando che il nascere fortunato possa essere una sfortuna, sottolineando il come la mancanza di difficoltà possa privare la vita di alcuni dei suoi aspetti più significativi e formativi. Privilegio e fortuna non garantiscono necessariamente la felicità o il senso di realizzazione, e talvolta possono persino diventare un ostacolo alla crescita personale, alla comprensione di sé e alla capacità di affrontare la realtà.
Tratto da: “Io so’ io.. e Voi nun siete un cazzo” di Nino Colonna