Quando andiamo a far visita ai nostri cari, partendo dalle tombe più antiche sino ad alcuni esempi più contemporanei, non possiamo non imbatterci su alcune iscrizioni sepolcrali dedicate ai defunti.
Epitàffio, dal latino tardo epitaphium, «discorso funebre» (Treccani) è il termine utilizzato per spiegare quei componimenti il cui fine era elogiare il defunto. Da vere e proprie descrizioni del suddetto a frasi spesso esagerate in merito alle sue qualità e prodezze, in realtà riprende dai discorsi funebri tenuti nell’antica Grecia per rendere omaggio agli eroi nazionali.
Ad Atene infatti, si tenevano in pubblico dei discorsi proprio dedicati ai militi scomparsi nel corso dell’anno passato, mentre nella Roma antica si menziona la laudatio funebris, da parte di un conoscente o dei figli del defunto.
Singolare ed unico nel suo genere il testo “Antologia di Spoon River“, a cura di Edgar Lee Masters: il testo raccoglie gli epitaffi che lo stesso autore immagina posti sulle lapidi di un camposanto vicino a Spoon River per l’appunto.
Gli epitaffi raccontano la storia della città grazie proprio alla descrizione dei suoi defunti: il lettore si sente come in un percorso dantesco, accompagnato da questi testi ricchi di particolari!
L’epitaffio dunque era un discorso funebre finalizzato ad onorare la memoria del proprio caro scomparso: un discorso che veniva espresso appena subito dopo il decesso, finalizzato alla riflessione e alla meditazione sull’esistenza, cosa che effettivamente accade quando – oggi – leggiamo talune frasi sulle lastre tombali nei cimiteri.
Non sono presenti però solo epitaffi dal tono solenne, ve ne sono alcuni esempi nel mondo e in Italia dalla sfumatura divertente!
Sulla tomba di Franco Califano, ad esempio, possiamo trovare una simpatica frase: “Non escludo il ritorno”, mentre su quella di Walter Chiari troviamo “Amici non piangete..è solo sonno arretrato”.