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IL BEL PAESE

La relazione tra Opportunismo, Stupidità
e Corruzione in Italia

Viva l’Italia! Terra caratterizzata dalle meraviglie architettoniche, da ben 60 siti inclusi nella lista dei patrimoni dell’umanità, dalle delizie culinarie e.. diciamolo, dall’ancestrale opportunismo. Affermare che la corruzione in Italia sia figlia di un opportunismo atavico della nazione è una prospettiva che si riflette in una visione storica e culturale del fenomeno. La corruzione in Italia ha radici profonde che possono essere esplorate attraverso vari fattori storici, culturali e politici:
1. Storia Politica e Sociale
L’Italia è stata divisa in numerosi stati e principati fino all’unificazione nel 1861. Questa frammentazione ha spesso portato a una mancanza di unità e coerenza nelle istituzioni politiche, facilitando pratiche di corruzione locale. Inoltre, la tradizione di poteri forti e spesso dispotici, come i signori e i feudatari, ha favorito una cultura di clientelismo e favoritismo.
2. Influenza della Chiesa Cattolica
La Chiesa ha avuto un ruolo predominante nella politica italiana per secoli. Il potere temporale della Chiesa e le sue influenze hanno spesso intrecciato interessi spirituali e materiali, contribuendo a un ambiente in cui la corruzione poteva prosperare.
3. Il Periodo Fascista
Sotto il regime fascista di Mussolini, la corruzione non solo continuò ma fu in alcuni casi istituzionalizzata. L’uso di potere autoritario e la repressione delle opposizioni permisero pratiche corrotte all’interno del governo e tra i suoi sostenitori.
4. Opportunismo e Senso di Sopravvivenza
La necessità di adattarsi a condizioni politiche ed economiche spesso mutevoli ha favorito un atteggiamento opportunistico. In un contesto di incertezza e cambiamento, la corruzione può essere vista come una strategia di sopravvivenza.

Vorrei rafforzare il concetto che l’Italia è, in un certo senso, una nazione opportunista, invitandovi a riflettere su una semplice domanda. Pensiamo ad una partita di calcio, un ambito in cui l’Italia ha più volte conquistato l’attenzione del mondo. Ebbene, ricordate per caso qualche occasione in cui l’Italia, nelle grandi sfide storiche, abbia veramente “vinto” o “perso” un conflitto bellico o diplomatico in modo definitivo? La risposta è no: perché, in un certo senso, l’Italia ha sempre “pareggiato”. Questo particolare ci porta a considerare la complessità della nostra storia politica e militare, dove i risultati si sono spesso collocati in una zona grigia, senza vittorie nette né sconfitte clamorose. È una visione che sottolinea le sfumature e la natura pragmatica con cui l’Italia ha navigato il proprio destino. Vediamo alcuni esempi storici per contestualizzare questa idea:
1. Prima Guerra Mondiale – L’Italia ha combattuto al fianco delle potenze dell’Intesa (Regno Unito, Francia, Russia) e, sebbene abbia subito gravi perdite e alcune sconfitte (come la disfatta di Caporetto), alla fine ha ottenuto vittorie significative e ha guadagnato territori con il Trattato di Saint-Germain. Tuttavia, i benefici territoriali e politici furono meno di quanto ci si aspettasse, portando a un senso di “vittoria mutilata”.
2. Seconda Guerra Mondiale – L’Italia iniziò la guerra come alleata della Germania nazista, ma dopo numerose sconfitte e l’invasione alleata della penisola italiana, cambiò schieramento nel 1943. Anche se l’Italia alla fine si trovò dalla parte dei vincitori, il paese subì devastazioni, occupazioni e una guerra civile. Questo porta a una visione della guerra che è difficile classificare come una vittoria netta.
3. Risorgimento e Unificazione Italiana – L’unificazione italiana nel XIX secolo fu una serie di conflitti e trattative politiche che portarono alla creazione del Regno d’Italia. Anche qui, i successi furono spesso ottenuti attraverso compromessi e alleanze con potenze straniere, piuttosto che vittorie militari schiaccianti.

Questi pochi esempi evidenziano come la storia italiana sia caratterizzata da un mix di successi e fallimenti, con risultati spesso sfumati e complessi. La metafora del “pareggio” può essere vista come una sintesi di queste ambiguità e della natura spesso incerta e compromissoria della politica e delle guerre italiane. Ma tornando all’amato tema della corruzione, non si può parlare di essa senza menzionare la stupidità che spesso l’accompagna, come una sorta di duo comico che continua a farci ridere (o piangere) nel corso dei secoli. Un duetto inseparabile… la relazione tra stupidità e corruzione in Italia è come quella tra Totò e Peppino, inseparabile e assolutamente esilarante. Non si può avere una senza l’altra. La corruzione, come sappiamo, è la pratica di ottenere vantaggi indebiti attraverso mezzi illeciti, e la stupidità è quel tocco speciale che trasforma questi atti di disonestà in vere e proprie farse. Prendiamo, per esempio, il classico caso delle bustarelle. È un fenomeno così radicato nella cultura italiana che quasi ci aspettiamo che un modico “regalino” sia parte di qualsiasi procedura amministrativa.
     La stupidità entra in scena quando i protagonisti di questi atti corruttivi sono colti in flagrante con le mani nel sacco, o meglio, nella bustarella. È come guardare un episodio di una sit-com in cui il nostro eroe pensa di essere un genio del crimine, solo per essere colto da una telecamera nascosta mentre sussurra “Questa è per te, capo” con l’abilità di un bambino che passa un bigliettino in classe.
Ma provate ad immaginare la scena: un funzionario pubblico che, con l’aria di un grande stratega, organizza un incontro segreto in un caffè affollato. Con la destrezza di un prestigiatore maldestro, cerca di far scivolare una busta piena di denaro sotto il tavolo, ma la busta cade a terra, facendo tintinnare le monete e attirando l’attenzione di tutti i presenti. Oppure il politico che, con il sorriso compiaciuto di chi crede di essere al di sopra della legge, accetta una mazzetta proprio di fronte ad una telecamera nascosta, stupidamente ignaro che ogni sua mossa è monitorata.
Questi momenti di stupidità non sono solo fallimenti personali, ma diventano spettacoli pubblici che mettono in luce la goffaggine e l’arroganza di chi si crede invincibile. Come in una sit-com, il pubblico assiste con un misto di divertimento e incredulità mentre questi personaggi cadono nella trappola delle loro stesse azioni. Il funzionario che si vanta di avere tutto sotto controllo, per poi essere colto con le mani sporche, diventa il protagonista involontario di una commedia degli errori. In uno di questi episodi tragicomici, possiamo immaginare un dirigente aziendale che organizza un incontro “segreto” in un parcheggio, convinto che nessuno lo vedrà. Con la stessa fiducia di un bambino che pensa di poter fare uno scherzo ai genitori senza essere scoperto, il dirigente passa una busta gonfia al suo complice, senza rendersi conto che la polizia ha installato telecamere ovunque. La sorpresa e il panico sul volto del dirigente quando viene arrestato sono degni di una scena da commedia.

Questi atti di corruzione svelano un livello di ingenuità che è tanto allarmante quanto divertente. La loro incapacità di capire la banalità dei loro trucchi, la fiducia cieca nei loro metodi antiquati e la mancanza di consapevolezza della tecnologia moderna li rendono protagonisti involontari di uno spettacolo assurdo. Come in una sit-com, dove il personaggio principale non riesce mai a evitare il disastro, anche questi individui sembrano destinati a essere scoperti, dimostrando che la stupidità è davvero senza limiti.
In definitiva, la scena del corrotto colto in flagrante con la bustarella è un perfetto esempio di come la stupidità umana possa trasformare atti di profonda immoralità in momenti di farsa. Mentre cercano di orchestrare crimini complessi, finiscono per cadere nelle loro stesse trappole con la grazia di un elefante in un negozio di cristalli. E così, la realtà supera la fantasia, offrendoci spettacoli di corruzione tanto ridicoli quanto incredibili.

TANGENTOPOLI

L’epoca gloriosa (o disastrosa, a seconda dei punti di vista) degli scandali politici in Italia. Un periodo che ha visto il crollo di interi partiti e l’ascesa di nuovi protagonisti sulla scena politica, tutto condito con una buona dose di drammi giudiziari e diatribe pubbliche.
E poi, le famose monetine lanciate: il gesto simbolico che ha segnato la fine di un’era. Chi non ricorda quella scena? L’ex Presidente del Consiglio Bettino Craxi, ormai in disgrazia, che cerca di sfuggire dalla furia della folla all’uscita dell’Hotel Raphael. Un gruppo di cittadini inferociti che, stanchi della corruzione dilagante, decidono che l’unico modo per manifestare il loro disappunto è tirare monetine al loro vecchio leader. Un gesto semplice, quasi ironico nella sua crudezza, ma estremamente potente nella sua simbologia.
Le monetine, in quel contesto, rappresentavano molto più del loro valore nominale. Erano una dichiarazione di sfiducia totale verso una classe politica percepita come corrotta e distante dalle esigenze del popolo. Erano l’espressione di un popolo esasperato, che aveva perso la pazienza e non voleva più sentire scuse o vedere compromessi. Erano, in definitiva, la miccia che ha fatto esplodere la rabbia popolare in un gesto teatrale e indimenticabile.
Ironia della sorte, in un paese dove spesso si parla di “mancanza di spiccioli” e “crisi economiche”, quelle monetine hanno lasciato un segno indelebile nella memoria collettiva. Sono diventate il simbolo del malcontento e della voglia di cambiamento, un ricordo amaro di come il denaro, simbolo di potere e corruzione, può diventare un’arma nelle mani della gente comune. E così, Tangentopoli e le monetine lanciate rimangono impressi nella storia italiana come un momento di svolta, una lezione su quanto la politica possa essere volatile e su quanto il popolo possa fare sentire la sua voce, anche con un gesto così piccolo, ma carico di significato.

Ma c’è stata davvero una svolta? Tangentopoli, con le sue inchieste e arresti, sembrava il preludio a un nuovo ordine politico, una purificazione dalle impurità della corruzione. I giudici di Mani Pulite divennero gli eroi del momento, mentre la classe politica tradizionale crollava come un castello di carte. Le monetine lanciate contro Bettino Craxi fuori dall’Hotel Raphael divennero il simbolo tangibile di una ribellione popolare contro il sistema corrotto. Eppure, guardando indietro, vien da chiedersi: cosa è davvero cambiato? Sì, Tangentopoli ha scoperchiato il vaso di Pandora, rivelando la profondità della corruzione politica in Italia. Ha portato alla caduta di molti politici e partiti, segnando la fine della Prima Repubblica e l’inizio della Seconda e successive. Tuttavia, se ci si ferma a guardare la situazione attuale, si potrebbe dire che la corruzione in Italia ha semplicemente cambiato forma, adattandosi ai nuovi tempi e alle nuove tecnologie.

 l’Appartamento in Regalo, il Ministro e la Commedia dell’Inconsapevolezza

  Una storia così surreale, ma reale, merita di essere raccontata con il giusto tono ironico. La politica italiana è una fonte inesauribile di storie tragicomiche! Tra scandali, tangenti e favoritismi, c’è una perla che brilla più luminosa delle altre… un appartamento regalato al ministro “a sua insaputa”.  Sì, avete capito bene. Siamo in Italia, dove persino un ministro può ricevere un lussuoso appartamento senza saperne nulla.
La storia inizia come tutte le migliori commedie: con un regalo inatteso. Immaginate la scena… un ministro, stanco dopo una lunga giornata di ‘lavoro’, riceve una telefonata. “Signor Ministro, abbiamo una sorpresa per lei. Un appartamento nel centro di Roma, tutto suo!” Il ministro, ovviamente, non ne sa nulla. Perché, in Italia, è perfettamente normale ricevere proprietà immobiliari senza preavviso. È come se Babbo Natale avesse deciso di abbandonare la sua usuale discrezione e di consegnare i regali direttamente ai politici, con tanto di fiocco rosso e biglietto d’auguri.

In pratica il ministro si ritrova con le chiavi di un lussuoso appartamento, sorride, si gratta la testa e pensa: “Ma guarda un po’, qualcuno deve aver pensato a me”. Perché sì, in un paese dove la burocrazia richiede moduli e contro-moduli anche solo per cambiare residenza, l’idea di ricevere un appartamento senza saperne nulla è perfettamente credibile, non trovate? Ma la parte più divertente della storia arriva quando il ministro deve spiegare l’accaduto. “Non ne sapevo nulla”, dichiara candidamente. Immaginate la sua faccia, la stessa di un bambino che trova una torta intera sul tavolo e giura di non sapere come ci sia arrivata. “È stato un regalo, sì, ma io non ne ero al corrente. Davvero, l’ho scoperto solo ora.” La stampa, ovviamente, si scatena. I giornali titolano a caratteri cubitali: “Ministro riceve appartamento a sua insaputa!” E la gente comune, quella che lotta per ottenere un mutuo, ride amaramente. Perché in un mondo dove bisogna sudare sette camicie per comprare una casa, l’idea che un appartamento possa piombare dal cielo è una barzelletta degna di “La sai l’ultima.”

E così, l’appartamento regalato al ministro diventa un classico della commedia italiana. Come i film del grande Totò, questa storia è destinata a rimanere impressa nella memoria collettiva. Il ministro, con la sua difesa strampalata, diventa un simbolo della disconnessione tra la classe politica e la realtà quotidiana. Una storia che unisce stupidità e corruzione in un abbraccio grottesco e surreale.

In Italia, la realtà supera spesso la fantasia. E la storia dell’appartamento regalato al ministro è l’esempio perfetto di come la stupidità e la corruzione possano intrecciarsi in modo esilarante. Forse dovremmo ringraziare questi politici per averci regalato un altro capitolo della nostra infinita saga tragicomica. Dopotutto, ridere delle nostre disgrazie è l’unico modo per sopravvivere all’assurdità della vita politica italiana.

Le Promesse Politiche

La politica italiana è un palcoscenico dove le promesse più stravaganti prendono vita. Ogni campagna elettorale è un’esplosione di promesse irrealizzabili, dalla riduzione delle tasse all’aumento dei servizi pubblici, senza mai spiegare come tutto questo sarà finanziato. Gli elettori, pur sapendo che molte di queste promesse sono pura fantasia, continuano a farsi sedurre da queste narrazioni.
La sceneggiatura: è il periodo delle elezioni, e ogni politico che si rispetti è impegnato a promettere l’impossibile con l’entusiasmo di un presentatore di televendite. “Se mi votate, costruirò ponti dove non ci sono fiumi!” proclama uno, mentre un altro assicura che “ogni famiglia avrà una Ferrari e una villa al mare!” È uno spettacolo pirotecnico di promesse, con i candidati che cercano di superarsi a vicenda in una gara di fantasia sfrenata.
Uno dei temi preferiti dai politici italiani, e che prende la pancia del cittadino, è la riduzione delle tasse. “Taglieremo tutte le tasse del 50%! Anzi, del 70%! No, facciamo del 90%! E nel frattempo aumenteremo i servizi pubblici! E aggiungiamo anche una trombetta e un palloncino per ogni famiglia… Ararara!” La logica di come queste due promesse vadano a conciliarsi è misteriosa quanto un’opera di Escher. È come se i politici vivessero in un mondo parallelo, dove il denaro cresce sugli alberi e i bilanci statali si autofinanziano magicamente. E Dopo? Cosa succede? Tutto e il contrario di tutto.
Una volta conquistato il potere con queste promesse mirabolanti, il nuovo governo si trova a dover affrontare la dura realtà. La riduzione delle tasse promossa con tanto entusiasmo inizia a mostrare le sue prime crepe, il taglio delle accise sui carburanti un puro sogno, ecc. ecc., gli introiti fiscali crollano e, con essi, la capacità dello Stato di finanziare i servizi pubblici. Ma, naturalmente, i politici non si arrendono così facilmente.
Parallelamente alla riduzione delle tasse, ogni candidato promette un miglioramento radicale dei servizi pubblici. “Ospedali con attrezzature all’avanguardia in ogni quartiere! Scuole con lavagne interattive in ogni aula! Strade senza buche e treni che arrivano puntuali come orologi svizzeri!” E il tutto, naturalmente, senza aumentare le tasse. Gli elettori, di fronte a queste promesse, oscillano tra lo scetticismo e l’incanto, come bambini davanti a una favola o a un leccalecca.

La politica italiana è anche un gioco di amnesia collettiva. Ad ogni elezione, i politici promettono cose che già sanno di non poter mantenere, e gli elettori fanno finta di non ricordare le promesse non mantenute in campagna elettorale. È come un eterno ritorno dell’uguale, dove ogni ciclo elettorale ripropone lo stesso copione, e tutti fingono di essere sorpresi quando, alla fine, nulla cambia. I politici italiani sono maestri nell’arte del marketing. Usano slogan accattivanti e immagini emozionanti per vendere i loro sogni irrealizzabili. “Un futuro radioso per tutti!” “Il cambiamento che aspettavi!” Ogni promessa è confezionata con cura, come un regalo di Natale, completa di fiocco e bigliettino. E gli elettori, nonostante tutto, continuano a scartare questi regali sperando che, questa volta, il contenuto sia diverso.

Un Palcoscenico di Interferenze

Ogni nuovo governo italiano si ritrova puntualmente a recitare una commedia dai toni surreali, dove l’Europa e la NATO giocano il ruolo di registi esigenti. È un teatro dell’assurdo, in cui i politici italiani cercano di mantenere la loro aura di maghi della promessa mentre, dietro le quinte, le direttive di Bruxelles e gli ordini di Washington tengono saldamente le redini.
Uno dei numeri principali di questo spettacolo è la riduzione delle tasse. I politici italiani promettono tagli fiscali con la leggerezza di chi offre caramelle ai bambini. Ma qui entra in scena l’Unione Europea con i suoi parametri di Maastricht, come un severo insegnante di matematica che chiede di mostrare i conti. La Commissione Europea osserva con occhio critico e fa domande imbarazzanti del tipo: “Come pensate di finanziare questi tagli?” I politici italiani, abituati a vivere in un mondo parallelo dove il denaro cresce sugli alberi, cercano di deviare l’attenzione con giochi di prestigio e numeri illusionistici. Ma alla fine, devono fare i conti con la realtà: ridurre le tasse senza aumentare il debito è tanto possibile quanto far levitare un elefante.

Passiamo ora al grande circo della difesa. La NATO, con il suo copione fatto di impegni e spese militari, entra in scena come un domatore di leoni, chiedendo che l’Italia mantenga il suo contributo alle missioni internazionali e aumenti la spesa militare. “Sì, certo, subito!” risponde il governo italiano, con la stessa convinzione di un bambino che promette di fare i compiti. Ma dietro le quinte, la realtà è che i bilanci sono già tirati al massimo. Si parla di tagliare gli sprechi, di razionalizzare le spese, ma alla fine è tutto un gioco delle tre carte. Le risorse vengono spostate da un capitolo all’altro, in un balletto di cifre che lascerebbe confusi anche i migliori contabili.
In politica estera, l’Italia è come una marionetta in balia di fili invisibili tirati da Bruxelles e Washington. Da una parte, deve aderire alle politiche comuni dell’Unione Europea su commercio, diritti umani e sanzioni internazionali. Dall’altra, deve seguire le direttive della NATO su questioni di sicurezza globale.
Ogni decisione diventa un complicato gioco di equilibrismo, dove i politici italiani cercano di non far cadere troppe uova mentre camminano sulla fune. Il risultato è che il nuovo governo si trova spesso a dover adottare posizioni che poco hanno a che fare con le promesse fatte agli elettori. Si parla di sovranità nazionale, di indipendenza, ma alla fine le scelte sono già state fatte altrove, il margine di manovra è risibile e, alla fine, il nuovo governo si ritrova a 360° diviso 4. E cosa fanno gli elettori in tutto questo? Sospendono l’incredulità, come in un film di fantascienza, sperando che questa volta, le promesse vengano mantenute. Ogni elezione è una nuova speranza, un nuovo inizio, come se il ciclo infinito delle promesse irrealizzabili e delle delusioni fosse solo un brutto sogno. Ma, in fondo, gli elettori italiani sono degli ottimisti irriducibili. Continuano a credere nel miracolo della politica, e nella sovranità totale del proprio Governo e nella possibilità che, prima o poi, qualcuno riesca davvero a tagliare le tasse, aumentare i servizi pubblici, e rispettare tutti gli impegni internazionali. È una fede quasi religiosa, un’illusione che si rinnova ad ogni ciclo elettorale dove l’elettore continua a votare sperando che almeno qualcuna si avveri. È come comprare un biglietto della lotteria: la probabilità di vincita è minima, ma l’illusione è troppo forte per resistere. Ogni elezione è un nuovo biglietto, un nuovo sogno di cambiamento che, puntualmente, si infrange contro la realtà.
E la speranza qual è? Soltanto quella che le promesse non mantenute portino a una crescente disillusione e cinismo tra gli elettori. Che ogni delusione alimenti la percezione che la politica sia un gioco truccato, dove le regole cambiano continuamente e i veri vincitori sono sempre gli stessi. Questo clima di sfiducia è terreno fertile per populismi e demagogie, che a loro volta promettono miracoli e perpetuano il ciclo delle promesse irrealizzabili.

L’influenza dell’Europa e della NATO su qualsivoglia nuovo governo italiano è un perfetto esempio di commedia dell’arte, dove ogni attore recita la sua parte in un copione che sembra scritto da un autore sadico e ironico. I politici italiani devono destreggiarsi tra promesse irrealizzabili e dure realtà internazionali, mentre gli elettori guardano lo spettacolo con un misto di divertimento e rassegnazione. In definitiva, la politica italiana è un grande circo, dove le promesse elettorali sono gli spettacoli principali. Gli elettori, pur sapendo che molte di queste promesse sono illusioni, continuano a partecipare a questo spettacolo, sperando in un colpo di scena che cambi tutto. Fino ad allora, il palcoscenico rimarrà lo stesso: un teatro di sogni irrealizzabili, illusioni affascinanti e, purtroppo, molte delusioni. Ma, come in ogni buona commedia, l’importante è partecipare e, magari, ridere un po’ delle nostre follie collettive.

Progetti Pubblici e Fondi Nascosti

Un altro esempio emblematico è quello dei progetti pubblici. In Italia, la costruzione di qualsiasi infrastruttura sembra essere un’opportunità d’oro per la corruzione. Stadi, ponti, strade: ogni progetto è una potenziale miniera d’oro per i funzionari corrotti. E la stupidità? Beh, arriva quando il ponte appena inaugurato crolla, o quando si scopre che la strada appena asfaltata è piena di buche. È quasi come se la stupidità fosse un ingrediente fondamentale nel mix, garantendo che i risultati della corruzione siano sempre deliziosamente disastrosi.
La difesa classica di chi viene accusato di corruzione è sempre una meravigliosa dimostrazione di stupidità. “Non sapevo”, “Non ricordo”, “È stato un malinteso”. Queste scuse sono ormai parte del folklore italiano. Immaginate un dirigente che riceve milioni di euro in contanti e poi afferma candidamente di pensare che fosse un dono di Natale anticipato. La sua espressione di finta innocenza è degna di un premio Oscar per la miglior performance comica. E non dimentichiamoci del famoso “Festival delle Tangenti”, un evento non ufficiale ma estremamente popolare nel Bel Paese. È qui che politici e imprenditori si incontrano per scambiarsi favori e bustarelle sotto il tavolo. Il tocco di stupidità? La convinzione che nessuno noterà mai nulla. Eppure, le intercettazioni telefoniche e i reportage giornalistici ci regalano perle di conversazioni surreali, dove la logica sembra essere andata in vacanza e la stupidità regna sovrana.

Il Culto della Raccomandazione

In Italia, avere le giuste connessioni è spesso più importante delle competenze. Il sistema delle “raccomandazioni” è così radicato che un curriculum impeccabile può passare inosservato se non accompagnato dalla famosa “spintarella”. Questo fenomeno ha portato a situazioni paradossali, dove persone assolutamente inadatte ricoprono ruoli di responsabilità solo perché conoscono le persone giuste.
La meritocrazia? Un concetto ancora in fase di sperimentazione. Immaginate di essere un giovane neolaureato, fresco di un master prestigioso e con un CV che fa invidia a chiunque. Pieno di entusiasmo, invii la tua candidatura per una posizione ambita. Passano i giorni, le settimane, i mesi, ma dal datore di lavoro nessuna risposta. Poi scopri che il posto è stato assegnato al nipote del cugino dell’amico del portiere dello zio del capo ufficio. In fondo, come si suol dire, “meglio un parente stretto che un estraneo competente”. Oppure… ti ritrovi in un pronto soccorso, vittima di un doloroso mal di schiena, e scopri che il medico di turno sembra sapere tutto su come alleviare il mal di stomaco di un cavallo da corsa, ma poco o niente sulle persone. Ovviamente, è stato assunto perché il padre della sorella del sindaco è un amico di famiglia. Il suo motto? “L’importante è la salute… delle connessioni”.

Il paradosso della raccomandazione sta nel fatto che, mentre nel breve termine può sembrare vantaggioso avere le giuste connessioni, nel lungo periodo questo sistema danneggia tutti. Le aziende perdono competitività, il settore pubblico diventa meno efficiente e la società nel suo complesso si impoverisce di talento e innovazione. La cultura del favoritismo genera una spirale di mediocrità che può essere difficile da interrompere.
E che dire delle università? Il culto della raccomandazione non risparmia neppure il mondo accademico e della ricerca. Le università italiane, nonostante l’eccellenza di molti dei loro ricercatori e professori, soffrono di un sistema dove spesso l’avanzamento di carriera dipende più dalle connessioni che dal merito. Questo può portare a una stagnazione dell’innovazione e a una perdita di talenti, con i ricercatori più brillanti che scelgono di emigrare verso paesi dove il merito è effettivamente riconosciuto e premiato.

Nel bel mezzo di tutto questo, la meritocrazia rimane un concetto esotico, quasi alieno. Qualcosa di cui si sente parlare nei film americani o nei documentari sui paesi del Nord Europa. Qui in Italia, meritare qualcosa basandosi solo sulle proprie capacità e competenze è una fantasia lontana. La realtà è che, senza la giusta spintarella, rischi di rimanere un eterno stagista, mentre il figlio del vicino, che passa le giornate a giocare ai videogiochi, diventa il tuo capo.
Nonostante tutto, ci sono segnali che la situazione potrebbe cambiare. La crescente pressione per la trasparenza e l’integrazione di pratiche meritocratiche sta cominciando a fare breccia anche in Italia. Sempre più organizzazioni stanno riconoscendo l’importanza di valorizzare le competenze e il talento. La sfida è grande, ma la speranza è che un giorno la meritocrazia non sia più un concetto in fase di sperimentazione, ma una realtà consolidata. E così, mentre continuiamo a navigare in questo mare di raccomandazioni e favoritismi, ci consoliamo con l’ironia della situazione. Dopo tutto, la nostra capacità di ridere delle nostre follie è ciò che ci rende unici. E chissà, forse un giorno, in un futuro lontano, la meritocrazia diventerà una realtà anche in Italia. Ma fino ad allora, meglio tenersi stretto il numero del cugino del cognato del sindaco: non si sa mai quando potrebbe tornare utile.

Concludo affermando che la relazione tra stupidità e corruzione in Italia è un tema ricco di ironia e paradossi. La corruzione potrebbe esistere anche senza stupidità, ma non sarebbe altrettanto divertente. La stupidità, con il suo tocco magico, rende ogni atto di corruzione una commedia degna di essere ricordata. Quindi, la prossima volta che sentite parlare di un nuovo scandalo di corruzione, ricordatevi di apprezzare l’ironia e la stupidità che lo rendono un capolavoro tutto italiano. Dopo tutto, ridere delle nostre follie potrebbe essere l’unico modo per sopravvivere a questo eterno spettacolo tragicomico.

La persona giusta, al posto giusto

Fresco di una promozione a direttore generale. Nonostante il suo titolo di studio in filosofia medievale e la sua unica esperienza lavorativa come custode notturno, il signor Rossi è ora responsabile di un’intera divisione aziendale. Perché? Perché conosce il presidente del consiglio di amministrazione dai tempi dell’asilo. Il risultato? Riunioni gestite come sedute di terapia di gruppo e decisioni strategiche prese con la stessa logica di un gioco di Monopoli. Per non parlare della liquidazione milionaria ricevuta dal Sig. Rossi nonostante i suoi fallimenti. Quindi benvenuti nel meraviglioso mondo delle grandi aziende, dove il fallimento sembra essere l’anticamera del successo personale!
Di conseguenza è d’obbligo prendersi un momento per riflettere e approfondire su questo fenomeno alquanto paradossale del riconoscimento milionario a manager aziendali fallimentari. Un concetto che, a prima vista, sembra sfidare ogni logica, eppure è sorprendentemente comune.
Immaginate un chirurgo che, nonostante una serie di operazioni disastrose, riceva una medaglia al valore e un bonus milionario. O un pilota di linea che atterra sempre fuori pista, ma viene lodato come eroe dell’anno. Assurdo, vero? Eppure, nel mondo delle grandi aziende, manager che portano le loro compagnie sull’orlo del baratro o addirittura al fallimento spesso se ne vanno con paracadute dorati.

La logica del Paracadute Dorato

Perché accade questo? La risposta è un cocktail di contratti stipulati con astuzia, accordi aziendali complessi e un pizzico di quella che possiamo chiamare “la magia del capitalismo moderno”. I manager, e presunti tali, spesso negoziano clausole contrattuali che prevedono buonuscite gigantesche, indipendentemente dai risultati effettivi della loro gestione. Quindi, anche se l’azienda crolla, il manager atterra dolcemente su una montagna di denaro.
C’è qualcosa di affascinante nel vedere come l’incompetenza venga premiata. È un po’ come una commedia nera dove i peggiori lavoratori ricevono le migliori ricompense. Le riunioni dei consigli di amministrazione che discutono queste buonuscite devono sembrare più una serie di sketch comici che seri incontri di affari. In un mondo ideale, ci aspetteremmo che le aziende premiano la competenza e il successo. Ma sembra che, nella realtà aziendale, le cose funzionino al contrario. Più grandi sono i fallimenti, più grandi sembrano essere le buonuscite. È come se il fallimento fosse una medaglia d’onore, un segno di aver osato così tanto da meritare una ricompensa, anche se tutto è andato storto. In Italia, come in molte altre parti del mondo, non mancano esempi di manager aziendali che, nonostante performance discutibili o addirittura fallimentari, hanno ricevuto liquidazioni milionarie. Ecco alcuni esempi a noi noti:
1. Alessandro Profumo – Monte dei Paschi di Siena: È stato amministratore delegato di MPS dal 2012 al 2015. Durante il suo mandato, la banca ha affrontato una delle crisi finanziarie più gravi della sua storia, con enormi perdite e una serie di aumenti di capitale per evitare il fallimento. Nonostante ciò, Profumo ha ricevuto una buona uscita considerevole, che ha sollevato non poche polemiche tra l’opinione pubblica e gli azionisti.  
3. Flavio Cattaneo – Telecom Italia: È stato amministratore delegato di Telecom Italia per un breve periodo, dal 2016 al 2017. Sebbene la sua gestione abbia visto alcune migliorie, la sua buonuscita di circa 25 milioni di euro per poco più di un anno di lavoro ha suscitato forti critiche. La cifra è apparsa spropositata rispetto al tempo trascorso in azienda e ai risultati ottenuti. 

A questo punto, per dovere di cronaca e di onestà intellettuale, è giusto menzionare e parlare di uno dei manager italiani, che personalmente definisco un fallimentare seriale, oltre che protagonista dell’entrata dell’Italia in Europa.. Romano Prodi. Noto politico ed economista italiano che ha avuto una carriera lunga e diversificata, ricoperto ruoli di grande rilievo sia in ambito nazionale che internazionale. Tuttavia, ci sono stati episodi controversi legati alla sua gestione manageriale, in particolare riguardo alla privatizzazione dell’IRI (Istituto per la Ricostruzione Industriale) e alla sua successiva liquidazione.
Romano Prodi ha ricoperto la carica di presidente dell’IRI tra il 1982 e il 1989 e nuovamente dal 1993 al 1994. Durante il suo mandato, l’IRI era una delle principali holding statali italiane, con partecipazioni in numerose industrie chiave del paese, dalla siderurgia ai trasporti. E dato che, come si suol dire “il lupo perde il pelo ma non il vizio”, negli anni ’90, con Prodi alla Presidenza del Consiglio, furono vendute diverse importanti aziende pubbliche, tra cui Alfa Romeo, Telecom Italia e molte altre. Queste privatizzazioni sono state spesso criticate per essere state gestite male, vendendo asset strategici a prezzi considerati troppo bassi e favorendo interessi privati.

La liquidazione dell’IRI

L’IRI (Istituto per la Ricostruzione Industriale) fu definitivamente liquidata nel 2000. Durante questo processo, Prodi ricevette una liquidazione che suscitò polemiche e critiche, non solo per l’importo ma anche per il contesto in cui avvenne. Il risultato complessivo delle privatizzazioni e della liquidazione dell’IRI fu oggetto di dibattito, con molti che ritengono che lo Stato abbia perso il controllo su settori strategici senza ottenere adeguate contropartite economiche. Romano Prodi è l’uomo che riuscì nell’impresa titanica di privatizzare mezzo Paese e poi andare via con una liquidazione dorata. È un po’ come essere il capitano del Titanic e ricevere un bonus per aver creato una nuova rotta… direttamente verso l’iceberg! Le sue abilità nel trasformare asset pubblici in profitti privati hanno fatto scuola, tanto che molti manager oggi sognano di seguire le sue orme: vendi tutto, prendi i soldi e scappa. In fondo, perché preoccuparsi delle conseguenze quando il tuo paracadute è imbottito di milioni? Il tutto, ovviamente, sotto l’occhio vigile di una classe politica che applaudiva e incassava. Insomma, una vera e propria “success story” all’italiana!
E cosa pensa l’opinione pubblica di tutto questo? Naturalmente, c’è un misto di indignazione e rassegnazione. La gente comune, che lotta per arrivare a fine mese, vede questi manager come una sorta di aristocrazia moderna, intoccabile e sempre ben ricompensata, indipendentemente dalle loro performance. Il fenomeno del riconoscimento milionario ai manager aziendali fallimentari è un esempio perfetto dell’ironia del mondo degli affari. È una realtà che sfida la logica, ma che persiste grazie a contratti ben congegnati e a una cultura aziendale che, a quanto pare, premia l’audacia di fallire in grande stile. Quindi, la prossima volta che vedrete un’azienda affondare e il suo manager allontanarsi con un assegno milionario, ricordatevi: nel grande gioco del capitalismo, Nel grande gioco del capitalismo, non conta come giochi, ma quanto spettacolare sia la tua caduta.

Prodi e l’Eurozona – il grande Salto nell’Abisso o il Balzo verso il Futuro?

L’ingresso dell’Italia nell’eurozona, avvenuto sotto la guida di Romano Prodi, è un tema controverso e divisivo. Mentre alcuni sostengono che sia stato un passo necessario per modernizzare l’economia italiana e integrarla maggiormente nell’Unione Europea, altri vedono questa mossa come un disastro economico e sociale.

il Biglietto per il Paese delle Meraviglie

Romano Prodi, il mago economico, ci ha venduto l’idea dell’euro come il biglietto per il Paese delle Meraviglie. “Entriamo nell’Euro e vedremo un futuro luminoso! Lavoreremo anche 1 giorno in meno alla settimana” proclamava. E così, l’Italia si è tuffata a capofitto in questa avventura, scoprendo presto che la tana del coniglio era piena di insidie economiche e regole rigorose, mentre il Paese delle Meraviglie si è rivelato un miraggio burocratico. “L’Italia sarà come la Germania!” proclamavano altri politici, facendo sognare gli italiani di un futuro roseo dove le economie di scala e la competitività globale avrebbero portato ricchezza per tutti. E invece, molti si sono trovati a chiedersi se qualcuno avesse cambiato le carte in tavola in corso d’opera o, cosa ancora più grave, se qualcuno sapesse la trama del film e di come andasse a finire.
Prodi ha preso la lira, quel simbolo di fascino retrò, e l’ha trasformata in un oggetto da museo, come se fosse una reliquia di un’epoca oscura. Ma tanto chi ha bisogno della lira quando possiamo avere l’euro? Un po’ come dire: Chi ha bisogno della nonna quando puoi avere Alexa? Sì, l’euro sembrava moderno e cool, ma ci siamo presto accorti che anche le vecchie nonne hanno il loro valore.

L’Illusione del Kit dell’Euro

Famigerato kit dell’euro! Quel piccolo pacchetto di monete e banconote che prometteva di semplificare la transizione alla nuova moneta e che invece ha finito per seminare caos e confusione tra la popolazione. La stupidità e l’ignoranza hanno giocato un ruolo fondamentale in questo disastro economico.
Nel quotidiano doveva essere il salvagente che ci avrebbe aiutato a non affogare nel mare del cambiamento monetario. “Ecco qui, il kit dell’euro! Basterà seguire le semplici istruzioni!” ci dicevano. Le monete brillavano nuove e scintillanti, ma non è che fossero accompagnate da un libretto d’istruzioni per evitare la confusione nei prezzi. La popolazione era sicura che bastasse questo kit per una transizione indolore. “Proviamo a fare un po’ di matematica alla buona.” ci dissero, “Basta dividere per 1.936,27 e il gioco è fatto!” Niente di più semplice, vero? Tanto semplice che per la divisione tra lire ed euro ci servimmo dei famosi convertitori. Col passare del tempo molti cittadini, fiduciosi nella loro capacità di adattamento, hanno deciso di ignorare i tassi di conversione. “Ma sì, è solo una nuova moneta, tutto si aggiusterà da sé!” Peccato che senza fare i conti con la conversione, la realtà dei prezzi si è trasformata in un incubo tanto da portarci ad accettare lo status quo e tirare a campare.

La grande Fregatura dei Prezzi

All’inizio, ci rassicuravano che tutto sarebbe rimasto uguale, solo con numeri diversi. “Una tazza di caffè costerà sempre una tazza di caffè, solo che la paghi in euro!” Certo, come no! La tazza che prima pagavo 1.000 lire improvvisamente 1 euro, che, sorpresa, al cambio costava ben più di 1.000 lire. La matematica può anche essere noiosa, ma il nostro portafoglio si accorgeva benissimo della differenza per il semplice fatto di sentirsi più leggero. L’adozione dell’euro ha portato con sé una conversione dei prezzi che ha fatto apparire tutto più caro. Una pizza che costava 10.000 lire passava a 10 euro, praticamente il doppio. Ma quanti di noi, ad oggi, hanno realizzato appieno che i prezzi raddoppiati non erano solo causa della conversione lira/euro ma soprattutto di una speculazione organizzata? Molti commercianti infatti, in assenza di un opportuno ‘calmiere’ da parte del Governo, come in tempi bellici sui generi di prima necessità, approfittarono della confusione per aumentare i prezzi, spesso arrotondando al rialzo in maniera spropositata. Le zucchine che in piazza il giorno prima costavano 1.000 lire al chilo, magicamente il giorno dopo 1 euro, una differenza che, pur sembrando esigua, rappresentava un incremento del 93%. Lo stesso destino toccò ai servizi e persino ai prodotti di lusso: un’ondata di rincari mascherati dietro l’apparente complessità della conversione.
Questo fenomeno ha avuto ripercussioni notevoli sull’economia domestica. La percezione di un potere d’acquisto diminuito ha scatenato un malcontento diffuso tra i consumatori, che vedevano i propri risparmi evaporare senza un apparente motivo logico. La mancanza di controlli efficaci e tempestivi ha ulteriormente aggravato la situazione, consentendo che la speculazione diventasse una pratica comune, accettata, e tutt’ora persistente con l’appellativo di ‘caro vita’. L’adozione dell’euro ha anche fatto emergere la disparità tra le economie dei paesi del Nord Europa e quelli del Sud. “Siamo tutti nella stessa barca!” proclamano ancor oggi i Babyfuck, al secolo bimbominchia, euro-entusiasti. Tanto loro viaggiano su yacht di lusso, mentre altri sono su zattere malandate, o sbaglio? L’Italia, con la sua economia stagnante, si è trovata a competere con i giganti del Nord, senza i benefici di una politica monetaria autonoma.

Le Riforme Promesse e Mai Realizzate

Prodi, con il suo tocco magico, avrebbe dovuto trasformare tutto in oro. E invece inventò il tocco di Mida inverso, dove tutto ciò che toccava si trasformava in complicazioni… per non dire altro. Ogni nuova regolamentazione europea sembrava più una zavorra che un’opportunità. Invece di prosperità, l’economia italiana sembrava intrappolata in un labirinto di vincoli e austerità. Lui parlava della stabilità economica con la stessa sicurezza con cui un funambolo parla di equilibrio. “Non preoccupatevi, l’euro porterà stabilità!” diceva il genio, mentre l’Italia camminava su un filo sospeso tra il debito pubblico e le rigide regole fiscali dell’UE. Ogni piccolo sussulto del mercato sembrava pronto a farci cadere nel baratro dell’incertezza economica.
Romano Prodi e il suo governo avevano promesso riforme strutturali per rendere l’Italia competitiva nell’Eurozona. “Riformeremo il mercato del lavoro, ridurremo il debito pubblico, miglioreremo la produttività!” Gridavano con entusiasmo. Anni dopo, l’Italia sta ancora lottando con una burocrazia inefficiente, un mercato del lavoro rigido e un debito pubblico altissimo. La promessa di stabilità economica si è rivelata una mera illusione. “L’euro ci proteggerà dalle crisi!” proclamavano i sostenitori dell’unione monetaria, ma nessuno aveva previsto l’arrivo della crisi finanziaria del 2008 e la crisi del debito sovrano che ne è seguita, con l’Italia che si è trovata a lottare con austerità e rigore fiscale, piuttosto che prosperità. E mentre tutti parlavano delle meraviglie dell’euro, le multinazionali ridevano sotto i baffi. Infatti l’accesso facilitato ai mercati europei ha permesso loro di consolidare il potere, spesso a scapito delle economie locali. “Le Piccole Medie Imprese trarranno enormi vantaggi dall’euro!” Certo, come no. Infatti si sono trovate a competere con multinazionali con sede in paesi dove il costo del lavoro è una frazione di quello italiano. Risultato? Un declino delle piccole attività locali, mentre i grandi conglomerati internazionali hanno prosperato e prosperano ancora oggi.

Il Rigore di Bruxelles

L’adozione dell’euro ha portato con sé le rigide regole fiscali dell’Unione Europea. “Ma sì, Bruxelles sa cosa è meglio per noi!” dicevano, mentre ogni anno si cercava di far quadrare i conti pubblici con misure di austerità che hanno soffocato la crescita e aumentato la disoccupazione. E la famosa sovranità economica? Un ricordo del passato. Nei primi anni dell’euro, c’era un’euforia nei mercati finanziari. “Finalmente, accesso ai mercati di capitali a tassi tedeschi!” Annunci come questo hanno portato a un boom di investimenti e speculazioni. Tuttavia, senza le riforme strutturali necessarie, l’economia reale non ha tenuto il passo e la bolla è esplosa, lasciando dietro di sé una scia di fallimenti e disoccupazione. L’adozione dell’euro è stata vista da alcuni come una perdita dell’identità nazionale. L’euro ha sostituito le monete nazionali, ma per molti italiani, questo ha significato anche un’erosione della sovranità e un senso di controllo sul proprio destino economico.
L’ingresso nell’eurozona, salutato come un passo verso una nuova era di prosperità e stabilità, si è rivelato per molti italiani una promessa non mantenuta. Gli entusiasmi iniziali si sono scontrati con la dura realtà economica di una moneta unica che ha portato con sé sfide e sacrifici inattesi. Romano Prodi e il suo governo hanno guidato l’Italia in questa nuova era con ottimismo e grandi speranze, ma la strada si è rivelata più difficile del previsto. Alla fine, l’ingresso nell’Eurozona ha mostrato che, nonostante tutte le buone intenzioni, l’unione monetaria non è una bacchetta magica in grado di risolvere tutti i problemi economici di un paese. Ma ehi, almeno possiamo dire di essere parte di qualcosa di grande, giusto?

Tratto da “Ridere di Noi” di Nino Colonna
  
 
  
 
 
 

 
  
 
 
 
 
  
   
 

  
  
  
  
 
  
 
 
    
  
 
 
     
 
 
  
     


         

Di L'eretico dell'invisibile

L'autore si delinea come una mente curiosa, libera da dogmi e imposizioni, che non si accontenta delle spiegazioni preconfezionate propinate da religioni, istituzioni.. o dalla stessa scienza quando si chiude di fronte all’ignoto, tanto definire folle il concetto che 2 più 2 possano far 5.
Definirsi "l'Eretico dell'Invisibile", è già una dichiarazione di intenti.. di guerra.. come quella di andare oltre ciò che è dato per scontato, oltre le narrazioni costruite per mantenere un certo ordine sociale e intellettuale, oltre le verità imposte che nel corso dei secoli hanno modellato la percezione della realtà.
È evidente che l’autore non si limita ad un singolo ambito di ricerca, ma spazia tra spiritualità, mistero, fenomeni paranormali, storia e geopolitica, affrontando tutto con uno sguardo critico e analitico.
Ma non c’è solo il mistero a guidare ad alimentare la sua curiosità. C’è anche la consapevolezza che la storia, così come ci è stata, e ci viene raccontata, è spesso il risultato di una narrazione costruita a proprio uso e consumo dai "vincitori" a cui, anche se gli dedichiamo strade e piazze, gli eroi non sempre sono tali, le guerre non sono mai mosse da ideali puri, le istituzioni hanno intrecci con il potere economico e religioso che sfuggono allo sguardo della massa. L’autore si pone, dunque, come un investigatore dell’invisibile, colui che scava sotto la superficie per portare alla luce le contraddizioni e le ombre della storia e della società contemporanea.
L’Eretico dell’Invisibile, dunque, è quel qualcuno che non si accontenta di sapere perché consapevole dell’importanza del "Sapere di non Sapere".

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