Evilenko: quando il cinema diventa metafora
Il film Evilenko prende ispirazione dai fatti reali, ma sceglie volutamente un approccio simbolico.
Il protagonista non è chiamato Čikatilo, bensì Evilenko, e presenta tratti quasi surreali: una figura inquietante, a tratti persino allegorica, che incarna il crollo di un sistema politico e sociale in decomposizione.
L’URSS retratta nel film è un paese in cui:
- la burocrazia schiaccia chiunque
- la paura impedisce di vedere la verità
- i luoghi comuni e la propaganda distorcono la realtà
In questo senso, Evilenko diventa non solo un individuo pericoloso, ma un simbolo del fallimento di un’intera epoca.
Riflessioni eretiche su un film, un uomo e un sistema che non voleva vedere
Ci sono film che guardiamo per le immagini, altri per la storia, altri ancora per il clima che evocano. “Evilenko” appartiene a quest’ultima categoria. Non è solo la ricostruzione romanzata di un criminale: è l’incarnazione di un’epoca che crolla, di un sistema che, pur di mantenere intatta la facciata ideologica, preferisce non vedere l’orrore che lo attraversa.
Dietro il volto pallido e impassibile interpretato da Malcolm McDowell si intravede un’ombra molto più concreta: Andrej Romanovič Čikatilo, un uomo reale, non un mostro mitologico. Un funzionario sovietico qualunque, la cui vicenda, oggi listerizzata in libri, documentari, processi e analisi psicologich, fu resa possibile non solo dalla sua astuzia, ma dal silenzio calato dalle istituzioni.
Ed è proprio qui che il film diventa la porta d’ingresso verso una storia più ampia, che parla meno di sangue e più di potere, meno di “mostri individuali” e più di mostri collettivi, nati quando un sistema sceglie di ignorare le proprie crepe.
“Evilenko” come parabola: quando la finzione racconta la verità meglio della realtà
Il film inserisce elementi irrazionali, quasi sovrannaturali. Ma non sono lì per “colorare” la trama: sono metafore. “Evilenko” è il prodotto di un mondo in cui l’individuo vale meno di una firma su un registro. È la personificazione di un’Unione Sovietica al crepuscolo, incapace di ammettere che, come qualunque società umana, poteva generare devianza, malattia, violenza.
Il paradosso è che, per quanto irreale sia il personaggio sullo schermo, la realtà da cui deriva è molto più inquietante per la sua banalità.
Čikatilo: l’uomo che nessuno voleva riconoscere
Nato nel 1936 in un villaggio ucraino colpito da una carestia devastante, Čikatilo cresce tra storie di bambini scomparsi, fame, repressioni politiche, traumi psicologici impossibili da trattare in un mondo dove la psiche umana non era materia medica, ma materia ideologica.
L’URSS privilegiava l’immagine della “nuova società”, non la fragilità dei singoli.
Čikatilo è un caso emblematico nel panorama criminologico per la complessità della sua personalità e il modo in cui la sua vita personale, sociale e psicologica hanno contribuito a plasmare il suo comportamento criminale, infatti la sua vita sembra scorrere nella normalità:
- laureato in lettere ed insegnante.
- marito e padre di due figli;
- compagno comunista;
Ma la realtà è ben diversa: nonostante sia sposato, il rapporto con la moglie è praticamente inesistente, sia da un punto di vista emotivo che fisico. Il matrimonio è solo una facciata, e anche precedentemente, tutte le sue relazioni erano state pressoché inesistenti. Ogni tentativo di avvicinare le ragazze veniva costantemente bocciato dal suo modo di comportarsi insolito e bizzarro.
Ma di lui non colpisce tanto il profilo criminale come mostro di Rostok, così soprannominato per aver ucciso e divorato, nell’arco di dodici anni, più di cinquanta bambini e adolescenti di ambo i sessi, poi condannato a morte e giustiziato il 14 febbraio 1994, quanto la sua invisibilità sociale. Nessun archetipo del “mostro” occidentale: era un impiegato, un marito, un uomo qualunque, con un volto qualunque, in un sistema che confondeva l’apparenza con la sostanza.
Per anni, le autorità negarono che un singolo individuo potesse essere responsabile dei crimini che si accumulavano. Non per ingenuità, ma per dottrina: un fenomeno così “occidentale”, così borghese, non poteva esistere in uno Stato socialista.
Per ammetterlo, si sarebbe dovuto riconoscere che la società ideale non era così ideale. Ed è questa è una delle parti più “eretiche” della storia: il male prosperò non perché fosse potente, ma perché era incompatibile con la mentalità politica, e quindi ignorato.
Il detto “i comunisti che mangiavano i bambini”: una leggenda, un simbolo, una profezia al contrario
C’è un vecchio slogan di propaganda occidentale, spesso citato con ironia:
“I comunisti mangiano i bambini.” Era un’immagine volutamente assurda, nata per demonizzare un nemico politico. Ma se lo guardiamo con spirito critico, diventa un paradosso culturale interessante.
Nel caso Čikatilo, non fu il comunismo a divorare i bambini, ovviamente, né si parla qui di violenze, alle quali non do spazio in questa riflessione.
Il punto è un altro: fu lo Stato, con la sua cecità burocratica, a lasciare che i più vulnerabili venissero inghiottiti dall’indifferenza.
La metafora si ribalta: non erano i comunisti a mangiare i bambini, ma l’intero sistema a consumare la verità.
La propaganda crea demoni immaginari; la realtà crea demoni burocratici, molto più pericolosi perché non hanno un volto.
Quando Čikatilo venne finalmente arrestato nel 1990, l’URSS era già a un passo dal collasso. Il processo divenne un palcoscenico planetario non tanto per i crimini, quanto per ciò che rivelava:
- l’incapacità dello Stato di riconoscere la devianza;
- le lotte interne tra polizie, procure, apparati regionali;
- la distanza tra ideologia e realtà quotidiana;
- il bisogno politico di trovare un colpevole… prima che fosse troppo tardi.
Quel processo è stato, per molti storici, il funerale simbolico del sistema sovietico.
“Evilenko” come elegia politica
Rivedendo il film dopo aver studiato il contesto storico, il personaggio non appare più un “mostro”.
Diventa un sintomo. Un prodotto indesiderato ma inevitabile di una società che non poteva permettersi di ammettere la propria imperfezione.
Ed è qui che il cinema supera la cronaca, in quanto ci aiuta a capire che il vero orrore non è l’individuo deviante, ma il sistema che, per paura o ideologia, decide di non vedere.
Il male non è ciò che non comprendiamo, ma ciò che scegliamo di non vedere
Il caso Čikatilo non è solo un capitolo criminale, né un film trasformato in cult, né una semplice anomalia storica emersa durante gli ultimi anni dell’URSS.
È qualcosa di molto più inquietante e molto più attuale: una parabola sul rapporto tra il male e la società che dovrebbe riconoscerlo, un rapporto spesso distorto non dalla paura, ma dalla convenienza.
Ogni sistema, che sia politico, ideologico, religioso o culturale, coltiva il sogno della propria innocenza.
È una tentazione sottilissima: credere che noi, a differenza di loro, siamo al riparo dagli errori che infestano gli altri.
È una tentazione antica, quasi teologica, che nella modernità assume la forma della propaganda, delle narrazioni collettive, delle semplificazioni rassicuranti.
Ma è proprio quando un sistema si crede immune dal male che inizia a diventare il suo incubatore più fertile.
Non perché lo produca intenzionalmente, ma perché non lo riconosce più. Ed è qui che la storia di Čikatilo diventa una lezione eretica: l’URSS rifiutò per anni l’idea stessa che un individuo potesse compiere certi atti, perché ciò avrebbe incrinato il mito politico dell’uomo nuovo.
Così il male poté agire indisturbato non perché invisibile, ma perché “inammissibile”.
L’errore non fu di logica, ma di dottrina.
Ecco allora il nodo: quando il nemico che temiamo è un concetto astratto come un’ideologia, un’etnia, un partito, una fede, finiamo per ignorare i pericoli molto più concreti che abitano la nostra quotidianità.
Il paradosso della vecchia propaganda “i comunisti mangiano i bambini” funziona come una parabola rovesciata: mentre si demonizzava il nemico immaginario, il sistema reale rimaneva cieco ai propri fallimenti.
Oggi siamo diversi, certo. Ma non immuni. Cambiano i loghi, gli slogan, i toni della comunicazione politica, ma resta la stessa tentazione: creare un mostro simbolico per non vedere le crepe della nostra realtà.
Il male come zona d’ombra collettiva
Il vero male sociale non è quello che scardina i nostri valori; è quello che viene assorbito da essi senza che nessuno lo noti. È l’indifferenza che si veste da pragmatismo, è la censura che si traveste da tutela, è la propaganda che si presenta come informazione. È la fede cieca in un’idea che cancella la capacità critica, o peggio… è la burocrazia che, per difendere se stessa, smette di difendere le persone.
In questa prospettiva, il caso Čikatilo non è un’eccezione: è uno specchio.
Non rimanda tanto l’immagine di un individuo deviato, quanto il riflesso deformato di una società che aveva smesso di interrogarsi sulla propria vulnerabilità morale.
Evilenko come mito moderno
E qui il film ritorna come un eco, come una lente mitologica: “Evilenko” non è un personaggio, ma un sintomo. Una figura che non appartiene al mondo del fantastico, ma al mondo del rimosso.
È l’incarnazione narrativa di tutto ciò che una società non vuole riconoscere: la fragilità dei propri paradigmi, la fallibilità delle proprie istituzioni, l’illusione della propria superiorità morale.
Ecco perché la sua figura funziona: non perché ci spaventa, ma perché ci mette a disagio. Perché suggerisce che l’oscurità non viene mai da fuori, ma da ciò che lasciamo crescere ai margini delle nostre certezze.
E da vero Eretico vi dico: Il male non è ciò che non comprendiamo:
è ciò che comprendiamo benissimo, ma fingiamo che non ci riguardi.
E allora la lezione di Čikatilo, e la metafora di Evilenko, diventano un monito: non temere i mostri ideologici, essi servono solo a distrarci.
Temi piuttosto i silenzi, le zone d’ombra, gli spigoli nascosti di un sistema che preferisce essere impeccabile piuttosto che umano.
Perché non sono i regimi, né le ideologie, né gli uomini comuni a “mangiare i bambini”… sono le società che smettono di guardarsi allo specchio.
E quando succede, ogni Evilenko diventa possibile.
