Ah, le nomine dei Cavalieri del Lavoro. Quel rituale annuale in cui il Presidente della Repubblica, con la solennità di un Papa che assegna indulgenze, unge 25 anime prescelte con l’Ordine al Merito del Lavoro. È il 30 maggio 2025, e Sergio Mattarella firma i decreti, trasformando manager miliardari e eredi di dinastie industriali in “cavalieri” – sì, proprio come nei tornei del XIV secolo, ma invece di lance e destrieri, qui si brandiscono bilanci e fusioni ostili. Immaginate la scena al Quirinale: trombe, nastri tricolori e un sottofondo di inni nazionali, mentre i neo-insigniti – tra cui l’immancabile Claudio Descalzi di Eni, quel Milleri di Tim che naviga tra scandali come un galeone nei Caraibi, e il giovane Caltagirone, rampollo di un impero edilizio che ha pavimentato Roma con cemento e favori – chinano il capo in un inchino collettivo al dio Profitto.
Ma fermi tutti: questo non è un articolo celebrativo. No, qui vogliamo essere eretici, blasfemi, sovversivi. Vogliamo smascherare questa farsa come il più grande inganno del Novecento italiano, un ordine cavalleresco che finge di onorare il “lavoro” ma in realtà premia chi lo ha reso precario, invisibile e sacrificabile. I Cavalieri del Lavoro? Sono i crociati del capitale, che saccheggiano il territorio operaio sotto la bandiera del “merito”. E nel 2025, con l’Italia che annaspa tra produttività stagnante e disuguaglianze galoppanti, questa cerimonia è non solo anacronistica, ma un affronto deliberato alla dignità di chi suda davvero.
Il Mito del Merito: Da Operaio a Oligarca in Un Decreto
L’Ordine al Merito del Lavoro nasce nel 1901, sotto re Vittorio Emanuele III – sì, quello che marciò su Roma con Mussolini e firmò le leggi razziali. L’idea? Premiare “i lavoratori del genio e del sudore” che hanno “contribuente all’incremento della produzione nazionale”. Suona nobile, vero? Peccato che, fin dall’inizio, sia stato un club per eletti: imprenditori, non operai. Nel 2025, dei 25 nominati, solo una manciata ha un background “terziario” o “servizi”, ma guardate i nomi: Roberto Angelini Rossi (chimica estero, Lombardia), Rinaldo Ballerio (informatica, altro lombardo rampante), Giuseppe Basile (siderurgia, ennesimo barone del Nord). E poi le star: Patrizio Bertelli di Prada, che ha costruito un impero sul lusso made in sweatshop; Domenico Dolce, icona del glamour che ignora i sarti filippini nei laboratori sotterranei; Leonardo Ferragamo, erede di suole d’autore pagate con stipendi da fame.
Dove sono i cavalieri veri? Quelli che puliscono i bagni delle fabbriche Eni, o assemblano i chip per i server di Milleri, o tessono i tessuti per Bertelli senza ferie né sindacati? Assenti. Scomparsi. Perché questo ordine non premia il sudore: premia chi succhia il sudore altrui e lo trasforma in dividendi. È un’eresia capitalista: finge di essere meritocratico, ma è nepotismo legalizzato. I “suggerimenti” per le nomine arrivano dal Consiglio dei Cavalieri del Lavoro – un’autocrazia di ex-insigniti che cooptano i loro simili, come massoni in doppiopetto. Risultato? Un circolo chiuso di 3.000 cavalieri (dal 1901 a oggi), quasi tutti maschi, settentrionali, over 60, con patrimoni che farebbero invidia a un emiro.
Scandali Storici: Dittatori, Piduisti e Fake-Parmigiano
Non credete alle favole del merito? Guardate la storia, che è un campionario di vergogne. Nel 2010, Sebastiano Pitruzzello – patron del “Parmesan” made in Puglia, un insulto al formaggio DOP – viene nominato cavaliere nonostante accuse di contraffazione e sfruttamento. Nel 2013, Il Fatto Quotidiano denuncia un elenco zeppo di pluricondannati, piduisti e faccendieri: ex presidenti di Confindustria con ombre mafiose, industriali che hanno delocalizzato fabbriche lasciando migliaia di disoccupati. E nel 2024? Un editoriale tuona contro gli “spingitori di cavalieri”, quei lobbisti che barattano onorificenze con contributi elettorali.
Nel 2025, la cerimonia al Quirinale, tenutasi proprio il 24 ottobre, giorno antecedente a questo articolo, è un’eco di queste porcherie. Mattarella parla di “responsabilità sociale” e “coesione civile”, ma è ipocrisia pura: mentre i cavalieri brindano con champagne, l’Italia ha un tasso di disoccupazione giovanile al 22%, e il salario minimo è un miraggio. Descalzi? Ha Eni che trivella in Africa con contratti opachi. Caltagirone? La sua famiglia ha vinto appalti romani con l’ombra di Tangentopoli 2.0. E i Ferragamo & Co.? Simboli di un lusso che maschera catene di montaggio globali. È un ordine che onora il predatore, non la preda.
L’Eresia Finale: Smantelliamo il Mito, o Trasformiamolo in Carnevale Rivoluzionario
Cari lettori del mio blog, preparatevi a un’eresia che scuoterà le fondamenta di questo tempio dorato chiamato Ordine al Merito del Lavoro. I Cavalieri del Lavoro non sono un simbolo di eccellenza: sono una caricatura grottesca, un relitto di un’Italia che si inchina ai baroni del capitale mentre i veri lavoratori – quelli che sgobbano nei magazzini di Amazon, che pedalano sotto la pioggia per consegnare pizze, che cuciono abiti di lusso in capannoni senza finestre – restano nell’ombra, senza medaglie né fanfare. Questo non è un onore: è un insulto. Un retaggio di un’Italia fascistoide, travestito da repubblicana, che perpetua il mito del “merito” per nascondere lo sfruttamento sistemico. È un circo, un sipario di velluto che copre le vere battaglie del nostro tempo: un salario minimo che non sia un’elemosina, diritti per i rider che non siano schiavi delle app, tasse sui superprofitti di chi si arricchisce sulle spalle altrui.
Immaginate, per un momento, di strappare questo velo ipocrita e ribaltare il rito al Quirinale. Basta con i nastri tricolori al collo di chi delocalizza fabbriche in Vietnam per risparmiare due euro l’ora, di chi firma contratti a zero ore, di chi accumula miliardi mentre i suoi operai non arrivano a fine mese. Al loro posto, mettiamo catene simboliche ai polsi di questi “cavalieri” del profitto, una parata della vergogna che li costringa a marciare sotto gli occhi di chi ha pagato il prezzo del loro successo. Basta inchini al Colle, con Mattarella che benedice l’élite con sorrisi di circostanza. Voglio scioperi generali che paralizzino il Paese, megafoni nelle piazze che gridino: “Il lavoro è nostro, non vostro!”. Voglio un’Italia che smetta di genuflettersi ai “meritocrati” e inizi a combattere per chi il merito lo dimostra ogni giorno, senza bisogno di titoli nobiliari.
Ecco la mia proposta eretica: trasformiamo l’Ordine in qualcosa di vivo, di vero, di ribelle. Chiamiamoli “Cavalieri del Precariato”, un titolo che non venga conferito dal Presidente o da un Consiglio di parrucconi in doppiopetto, ma dai comitati di fabbrica, dai collettivi di lavoratori, dalle assemblee di disoccupati e migranti che tengono in piedi questo Paese. Premi per chi resiste ai licenziamenti di massa, come gli operai della GKN che hanno occupato la loro fabbrica per salvarla. Onorificenze per chi boicotta le multinazionali che inquinano e sfruttano, per chi organizza cooperative operaie che sfidano il dogma del profitto a tutti i costi. Immaginate una cerimonia non al Quirinale, ma in una fabbrica occupata, con i lavoratori che consegnano medaglie di latta – sì, di latta, perché il loro valore è nella lotta, non nell’oro – a chi ha detto “no” al padrone e “sì” alla dignità.
Oppure, andiamo oltre: aboliamo del tutto questo Ordine anacronistico. È una reliquia, come il Lodo Moro che ancora infesta la nostra politica con le sue promesse di immunità per i potenti. Non abbiamo bisogno di cavalieri in un’Italia dove il 22% dei giovani è disoccupato, dove il lavoro nero dilaga e i contratti a termine sono la norma. Mattarella, se mi legge, prenda coraggio: firmi un decreto per la ghigliottina simbolica di questo Ordine. Non un taglio di teste, ma di privilegi. Smantelli questo club esclusivo e lo restituisca al popolo, o almeno lo lasci morire nell’oblio, come merita.
E se il sistema si ostina a resistere? Bene, allora trasformiamolo in una pagliacciata, un Carnevale della rivolta. Organizziamo cortei in ogni città, con maschere che ridicolizzano i “cavalieri” – Bertelli con una corona di borse contraffatte, Descalzi con un barile di petrolio bucato, Caltagirone con un mattone di cartapesta. Portiamo forconi di plastica e striscioni con scritto: “Il lavoro non è vostro, è nostro!”. Facciamo tremare le loro torri d’avorio con il rumore delle nostre risate e della nostra rabbia. Perché questo è il punto: il Medioevo dei cavalieri è finito. Non vogliamo più signori feudali, né vassalli, né servitori. Vogliamo una repubblica operaia, dove il lavoro sia di chi lo fa, non di chi lo possiede.
Allora, lettori, che ne dite? Siete pronti a scendere in piazza, a condividere questa eresia, a commentare con idee ancora più sovversive? Scrivete, organizzatevi, ribellatevi. Il 2025 non è l’anno dei cavalieri: è l’anno di chi lotta. Facciamo crollare il loro castello, mattone dopo mattone.
