Capitolo 6 – La sfida delle Montagne
Dopo aver percorso mari e oceani, decisi di avvicinarmi alle montagne, silenziose e maestose, che si ergevano come giganti contro l’orizzonte. Non vi era alcuna fretta nel loro esistere, né il bisogno di muoversi. Ho sempre sofferto non poco con loro, toccato le loro pareti frastagliate, sentito il peso delle ere passate. Ogni crepa era una testimonianza di ciò che era stato, ogni vetta una cicatrice del tempo.
Le montagne, millenarie, avevano visto il mondo cambiare senza fretta, ma non senza sofferenza. Per secoli, gli uomini le avevano osservate da lontano con timore e rispetto, consapevoli della loro sacralità. Ma negli ultimi tempi, l’uomo era cambiato. L’avidità e l’arroganza lo avevano spinto a sfidare queste antiche sentinelle. Gli uomini si arrampicavano lungo i versanti rocciosi, spingendosi oltre i propri limiti in cerca di gloria e dominio.
Ricordavo le spedizioni di pionieri, con bandiere piantate su cime isolate, come fossero trofei. Ma sapevo che le montagne, imponenti e immobili, non appartenevano a nessuno. Avevo assistito a valanghe letali, a scalatori sconfitti dal freddo tagliente, a corpi che cadevano nel vuoto, per non farvi più ritorno. La montagna non perdonava mai chi la sfidava senza umiltà.
Le vette, che avevano accolto le orme di chi le aveva affrontate con sogni di immortalità, si erano trasformate in tombe. Tuttavia, gli uomini non si fermavano. Scavavano nelle viscere delle montagne, estraendo minerali e aprendo ferite profonde nel cuore delle rocce. Costruivano strade e gallerie, e i fianchi delle montagne venivano lacerati per sfruttare ciò che la terra custodiva da millenni. Percepivo il dolore muto delle montagne, violate da mani che non conoscevano limiti.
Tra queste pareti silenziose, io sussurrai:
“Vi ho visto sopravvivere a ere intere, resistere a cataclismi e trasformazioni. Ma ora siete ferite. Mi raccontate le storie di coloro che vi hanno sfidato?”
La montagna rispose con una voce antica, profonda come la terra stessa.
“Vento” cominciò la montagna, “la mia storia è antica quanto il tempo. Le mie radici affondano nella Terra da quando il pianeta era solo fuoco e roccia. Ho visto la nascita degli oceani, delle prime forme di vita, e sono rimasta immobile mentre il mondo mutava intorno a me. Ma nessuna creatura mi ha mai sfidato come fa l’uomo oggi.”
Accarezzando dolcemente le pareti rocciose, sospirai.
“Perché lasci che salgano fino a te? Perché non li respingi quando tentano di conquistarti?”
La montagna rifletté per un istante prima di rispondere.
“Non è mio il compito di respingere o fermare. Il mio destino è osservare, essere testimone del tempo che scorre. Ma ogni passo che l’uomo compie su di me lascia un segno. Quando la sua arroganza cresce, io rispondo con forza, con valanghe e frane. Eppure, nonostante tutto, tornano sempre.”
Avvertii il peso di quelle parole.
“Ho visto molte tragedie lungo le tue pendici. Uomini che ti sfidano, che cadono, che scompaiono nelle tue profondità. Ma anche io ho visto il rumore della civiltà che invade le tue valli. Le miniere che ti scavano fino al cuore, le strade che ti percorrono senza rispetto.”
Prima di rispondermi emise un mormorio profondo, quasi un ruggito sotterraneo.
“Non sono solo gli scalatori a ferirmi. Le miniere estraggono il mio sangue, i tunnel attraversano il mio corpo come ferite aperte. L’uomo prende senza mai chiedere, senza capire cosa sta perdendo. Non si rende conto che distruggendo me, distrugge una parte della sua stessa essenza.”
“Tu sei antica e forte” gli dissi, “più forte di qualsiasi creatura.”
“Sì, ma anche la roccia si sgretola con il tempo. E l’uomo, nella sua insaziabile avidità, continua a scavare. Costruisce città ai piedi delle mie vette, abbatte foreste e inquina l’aria che respira. La sua brama mi consuma dall’interno, come un veleno lento.”
“E delle sfide finite in tragedia?” gli chiesi, “Degli uomini che sono morti cercando di conquistarti, cosa pensi?”
“La morte è il mio avvertimento” disse la montagna, con la sua voce possente, “Non sono io a chiamarli, è la loro stessa ambizione che li porta a me. Vogliono conquistare ciò che non può essere posseduto. Io sono eterna, e loro no. Coloro che mi sfidano senza rispetto trovano solo la loro fine. Le mie vette non sono un trofeo, ma una lezione.”
“Quindi resti una guardiana silenziosa” osservai, “Gli uomini pensano di possederti, ma sono solo ospiti temporanei.”
“Esattamente. Sono una testimone del loro passaggio. Non porto rancore, ma neanche dimentico. Osservo, immobile, perché so che loro, come tanti prima di loro, prima o poi scompariranno. E io resterò.”
Avvolgendola in una lieve brezza, compresi la saggezza che le sue rocce custodivano.
“Prometto di soffiare più forte, di avvertire chi ti manca di rispetto. Porterò le storie di coloro che sono caduti sulle tue pareti come monito, affinché altri possano imparare.”
La montagna non rispose con parole, ma il suo silenzio parlava chiaro. E così, mentre l’umanità continuava a sfidare l’indomabile, io e la montagna restiamo testimoni di un ciclo eterno, di lotta e di perdita, in un mondo che, alla fine, non apparteneva e non appartiene a nessuno se non al tempo stesso.
segue (….) – Io Vento e le Nuvole